La chiesa dello Spirito santo di Innsbruck con il "Gesù-orologio" (da Youtube)

Il vescovo di Innsbruck appende in chiesa un Cristo a testa in giù: “Sarà il nuovo orologio”

Matteo Matzuzzi

La deriva kitsch della chiesa in Europa. Mons. Hermann Glettler: "Al crocifisso abbiamo staccato le braccia, saranno le lancette che permetteranno di segnare le ore e i minuti". E' la ricetta per attrarre nuovi fedeli?

Roma. A Innsbruck, piccola diocesi della fu Austria felix, il vescovo Hermann Glettler – già noto per certe sue stravaganze, come il far distribuire la comunione a dei ragazzini, più inorriditi degli adulti lì presenti – si è dato all’arte moderna (o almeno a quella che lui ritiene essere arte moderna): ha fatto recuperare una vecchia statua lignea del Crocifisso, ha fatto staccare le braccia e l’ha appesa sul muro della chiesa dell’ospedale (dedicata allo Spirito santo): sarà il nuovo orologio. Le braccia segneranno l’una le ore e l’altra i minuti. Il tutto in modo armonico. Gesù è appeso per i piedi a testa in giù. Il vescovo ha spiegato con fare da guida turistica la decisione quantomeno originale: “Man mano che il tempo scorre, le braccia formano le diverse costellazioni e il corpo statico del Cristo morto prende all’improvviso vita, il che rappresenta un momento di liberazione dalla croce e un superamento della stessa morte”. Mons. Glettler è convinto di quel che dice, mentre dietro di lui – lo si vede in un video pubblicato da un giornale locale – la statua lignea su muove per segnare l’ora esatta.

 

Il vescovo sottolinea che l’opera rende giustizia “alla capacità di movimento del corpo umano, figura tradizionale del Rinascimento”, chiarendo altresì che attraverso la posizione capovolta e storta si mostra “la deformazione della figura umana”. Questo accenno, a quanto pare, dovrebbe essere un fumoso riferimento alla quaresima, non immediatamente intellegibile. Tant’è. Mons. Glettler è soddisfatto della resa e dice che non importa se l’arte sia moderna o no, basta che sia buona. Inoltre, il Cristo-orologio “riprende il tema barocco della dinamicità”. Il presule non è nuovo a tali “innovazioni”: nella cattedrale ha fatto installare una luce al neon (rossa) che ricorda l’insegna di una vecchia casa per appuntamenti della Repubblica di Weimar. Sulla facciata dell’edificio, fino a qualche mese fa s’ammirava la poetica frase: “Finché Dio avrà la barba, io sarò femminista”.

 

Anche in questo caso, si tratta di un’opera d’arte, stavolta della signora Katharina Cibulka, che punta a schernire “i simboli del potere patriarcale”. Subito da qualche parte si sono levate critiche al Papa – è vero, Glettler l’ha nominato lui nel 2017, ma la situazione della chiesa a nord delle Alpi è drammatica e non si vede all’orizzonte un Carlo Borromeo: qualche anno fa uno scoraggiato Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, diceva “cosa posso fare?”, davanti al deserto di fede che conquistava sempre più spazi. C’è da dubitare però che la ricetta per attrarre nuove masse di fedeli – evangelizzare è un po’ troppo, il termine non s’addice al politicamente corretto imperante – consista nel mettere un Cristo a testa in Gesù dopo averlo amputato delle braccia e nell’installazione di una luce al neon sopra l’altare. La fede, lo dimostra la realtà quotidiana, si alimenta nella semplicità. In Africa, terra di cristianesimo fiorente, intere famiglie percorrono ogni domenica a piedi decine di chilometri per partecipare alla messa in qualche piccola chiesa. Senza bisogno di orologi “moderni” e di effetti speciali da réclame kitsch.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.