Un gruppo di coristi alla Cattedrale di St. Paul a Londra (foto LaPresse)

Europa, terra senza Dio

Alessandro Berrettoni

Un sondaggio pubblicato dal Guardian racconta la desacralizzazione del continente, dove la nuova normalità è non avere religione

Già nel 1799 Novalis avvertiva il rischio di una crisi epocale, rimpiangendo nel suo “La Cristianità, ossia l’Europa”, i “bei tempi in cui l’Europa fu terra cristiana”. Il suo saggio non fu accolto benissimo, tanto da essere pubblicato quasi 30 anni più tardi, nel 1826. La desacralizzazione del continente, da allora, non si è mai arrestata. Nel 2000, anno in cui si discuteva dell’inserimento del riferimento alle radici giudaico-cristiane nella Costituzione europea, l’allora cardinale Joseph Ratzinger disse che, prima che un concetto geografico, l’Europa era cultura e storia. La storia di un popolo che, nonostante le riforme e gli scismi, aveva basato la propria civiltà sulla comune radice religiosa, che si era fatta arte, civilizzazione, identità. Che l’Europa abbia perso la propria fede, insomma, non è una novità, ma la conferma definitiva arriva da un articolo del Guardian che indaga la crescita dei cosiddetti Nones, le persone senza affiliazione religiosa. La maggior parte dei giovani europei non crede in nessun Dio, ha perso ogni senso del sacro.

 

  

Secondo il sondaggio citato dal Guardian, effettuato dalla St. Mary University Twickenham di Londra l’Europa sta marciando dritta verso una società post-cristiana. In Repubblica ceca il 91 per cento dei giovani tra i 16 e i 29 anni dichiara di non avere affiliazioni religiose. In Estonia, Svezia e Olanda, la percentuale scende (di poco) tra il 70 e l’80 per cento. I paesi più religiosi sono la Polonia, dove soltanto il 17 per cento dei giovani adulti si definisce “non religioso”, e la Lituania, con il 25 per cento.

 

Intervistato dal quotidiano britannico, il responsabile della ricerca, Stephen Bullivant, ha detto che “la religione è moribonda”. Il sondaggio è stato effettuato nell’arco di due anni, dal 2014 al 2016, e secondo Bullivant la parabola discendente diventerà sempre più marcata. L’ateismo sta diventando la norma, anche se ci sono delle divergenze significative. “Paesi vicini, con una storia simile, hanno profili estremamente differenti”, specifica Bullivant. Si prendano i due paesi più religiosi e i due, all’opposto, più atei: Polonia e Lituania, Repubblica ceca ed Estonia. Si tratta in tutti e quattro i casi di stati post comunisti, che però affondano le proprie radici su identità differenti, anche nel modo in cui la transizione dal regime sovietico è stata affrontata.

 

 

Fra chi si dichiara credente, però, non tutti affrontano la propria dimensione spirituale allo stesso modo: praticanti ce ne sono sempre meno. Il sondaggio della St. Mary’s University, effettuato da un centro di ricerca intitolato – non a caso – a Benedetto XVI, non considera l'Italia (su cui Bullivant ha promesso un aggiornamento dei dati) ed evidenzia come soltanto in Polonia, Portogallo e Irlanda più del 10 per cento dei giovani vada a messa almeno una volta a settimana. Molti giovani europei “dopo il battesimo non hanno più varcato la porta di un edificio di culto”. Anche coloro che si identificano come cattolici, spesso, non frequentano o non pregano. Tra i giovani polacchi, i più religiosi tra gli europei, più della metà non va a messa. I cattolici praticanti sono il 2 per cento in Belgio, il 3 in Ungheria e Austria, il 5 in Lituania e il 6 in Germania. “L’identità religiosa e culturale non si trasmette necessariamente dai genitori ai figli, anzi, spesso scivola loro addosso”, afferma ancora Bullivant. Senza considerare poi l’immigrazione: nel Regno Unito per esempio, i dati vanno tarati considerando le persone che arrivano da fuori: un cattolico su cinque non è nato in Gran Bretagna. E poi ci sono i musulmani, che hanno un tasso di natalità e “un'affiliazione religiosa” molto più alti.

  

L’Europa ormai è una terra senza Dio, e in particolare senza il cristianesimo, di cui si perde traccia anche nei paesi che storicamente hanno rappresentato la cultura europea: in Francia i cristiani adulti sono soltanto il 26 per cento, il 20 in Germania. Ma secondo Bullivant c’è comunque ancora una speranza: “E’ vero che la nuova normalità è l’assenza di religione, e che i pochi che credono si sentono di nuotare controcorrente. In 20-30 anni, le chiese saranno più piccole, ma le persone che le frequenteranno saranno molto più devote”. Cosa sarà l’Europa quel giorno, se sottomessa al politically correct o a un nuovo Dio, non si può dire. Per la sopravvivenza delle nostre radici forse, sarà comunque troppo tardi.

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