Gli ebrei nel deserto in un dipinto di Jacopo Tintoretto

L'antigiudaismo e la necessità di un'ecologia della mente cristiana

Vito Mancuso

Il nuovo antisemitismo e le “pietre d’inciampo” scritte nei testi sacri. Qualche domanda ancora da porsi

Nella Prefazione a I sommersi e i salvati Primo Levi scriveva che il suo libro intendeva rispondere a una “domanda più urgente”, che poi egli esplicitava così: “Quanto del mondo concentrazionario è morto e non ritornerà più, come la schiavitù e il codice dei duelli? quanto è tornato e sta tornando? che cosa può fare ognuno di noi, perché in questo mondo gravido di minacce, almeno questa minaccia venga vanificata?”. Era il 1986 e da allora a oggi la tripla domanda di Levi è diventata ancora più urgente. Il 10 dicembre a Roma nel quartiere Monti sono stati divelti e sottratti venti speciali sanpietrini denominati pietre d’inciampo in quanto dotati di una targhetta in ottone con il nome, la data di nascita e quella di morte di alcune vittime della Shoah, ultimo fatto di una serie crescente di ostilità antisemite in tutta Europa, tra cui da noi una maglietta con la scritta a caratteri disneyani Auschwitzland di un’allegra signorina durante una manifestazione a Predappio (28 ottobre) e una statuetta di Hitler in un presepe di Napoli (9 dicembre).

 

Qualche giorno fa hanno fatto scalpore le affermazioni di Cristiano Ceresani, capo di Gabinetto dell’attuale ministro della Famiglia e le Disabilità Lorenzo Fontana (e in precedenza collaboratore del ministro Maria Elena Boschi), sul collegamento tra riscaldamento climatico e azione di Satana, uno scalpore comprensibile per il collegamento, usuale nel medioevo inusuale ai nostri giorni, tra un fatto empirico e un personaggio metafisico, e soprattutto per il ruolo istituzionale di chi lo propone. Ben altra attenzione però si dovrebbe prestare a un’altra affermazione di Ceresani riguardante il popolo ebraico, secondo cui esso avrebbe sul capo un vero e proprio “peccato originale” causato dal “non aver creduto nella nuova ed eterna alleanza con Gesù Cristo”. Le conseguenze per l’autore sono le seguenti: “Potrà apparire irriverente nei confronti del popolo ebraico che noi amiamo profondamente, tuttavia alla luce della Parola Rivelata, non può destare scandalo il fatto che le intricate vicende storiche degli ebrei che hanno condotto alla Shoah, possono essere comprese solo avendo a mente il peccato del rinnegare il Kerygma, ossia non credere che Gesù Cristo è il redentore” (da Kerygma, il Vangelo degli ultimi giorni, Giubilei Regnani 2018, p. 80).

 

A queste affermazioni ognuno reagisca come vuole e come sa, quello che in ogni caso deve essere chiaro è che qui viene esplicitamente affermato che la Shoah con i suoi milioni di morti è occorsa agli ebrei per aver rifiutato il messaggio cristiano (l’autore in verità scrive “rinnegato”, ma questo era evidentemente impossibile). Hitler quindi fu uno strumento della pedagogia divina?

 

Se questa macabra teologia della storia avesse un minimo senso, occorrerebbe chiedersi quale potrebbe essere la ragione teologica del genocidio di quasi due milioni di armeni (di fede cristiana) o dello sterminio per fame di milioni di contadini ucraini (i kulaki, anch’essi di fede cristiana) avvenuti prima della Shoah, nonché di tutte le stragi che la storia conosce da Caino ai nostri giorni. In realtà occorre rendersi conto che in questo modo si trasforma Dio nel più mostruoso criminale di tutti i tempi, uno da cui prima ci si libera meglio è, il che peraltro è quanto sta progressivamente e sistematicamente avvenendo in Occidente.

 

Nel brano sopra citato Primo Levi si chiedeva cosa può fare ognuno di noi per impedire che ritorni ciò che egli definiva “mondo concentrazionario”. Il mio contributo consiste qui nel far comprendere che l’affermazione sopra riportata non è una trovata personale dell’autore, ma al contrario si radica in una lunga storia di antigiudaismo e di antisemitismo cristiani (laddove il primo termine dice l’ostilità nei riguardi della religione ebraica e il secondo l’ostilità verso il popolo ebraico in quanto tale; il primo cioè concerne la fede, il secondo il sangue). Quanto sostenuto da Ceresani non è farina del suo sacco; la farina con cui egli impasta il suo nerissimo pane viene da molto lontano, è stata macinata già dai primi cristiani, da non pochi Padri della Chiesa e persino da alcuni testi poi inclusi nel canone biblico e quindi dichiarati sacri, come ora documenterò. Occorre cioè prendere atto che esistono precise radici neotestamentarie ed ecclesiastiche dell’antisemitismo e non dimenticarlo mai, per impedire il ritorno di quel veleno mentale che solo qualche decina di anni fa ha provocato in Europa lo sterminio di milioni di noi.

 

Il testo più antico del Nuovo Testamento è la Prima Lettera ai Tessalonicesi di Paolo di Tarso, databile intorno all’anno 50. A proposito degli ebrei vi si legge: “Costoro hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, hanno perseguitato noi, non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini. Essi impediscono a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano sempre di più la misura dei loro peccati! Ma su di loro l’ira è giunta al colmo” (2,15-16).

 

Questo testo di san Paolo trasmette sugli ebrei le seguenti convinzioni: 1) sono colpevoli della morte di Gesù; 2) non piacciono più a Dio; 3) coltivano un senso di inimicizia verso tutti gli uomini; 4) il loro peccato ha suscitato l’ira divina, giunta oramai al colmo. È da notare anche l’equivalenza tra ebrei che impediscono la predicazione cristiana ed ebrei che uccisero Gesù perché, essendo evidente per ragioni cronologiche che non si tratta delle medesime persone, si ha qui l’inaugurazione del concetto di colpa collettiva.

 

C’è poi un altro aspetto inquietante. La traduzione latina della Bibbia detta Vulgata, cioè la Bibbia letta in occidente fin oltre la metà del ’900, traduce il finale del versetto 16 così: “Pervenit enim ira Dei super illos usque in finem”. Io non posso non chiedermi se quell’usque in finem non possa aver portato qualcuno alla supposizione di una sorta di “soluzione finale” prevista da Dio verso il popolo ebraico, prefigurando così una specie ante litteram di “Endlösung”.

 

Per evidenti limiti di spazio non è possibile proseguire l’analisi degli altri testi antigiudaici del NT, di cui posso solo elencare i principali: 2Corinzi 3,7-15 (dove Paolo parla della Torah come “ministero di morte” e degli ebrei come “menti indurite”), l’intera Lettera ai Galati (in cui la Torah viene definita maledizione e schiavitù e dichiarata abolita); Ebrei 8,13 (dove si definisce la religione ebraica “prossima a scomparire”); Matteo 27,25 (con le famose parole: “E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli””, dove è da notare l’aggettivo “tutto” a proposito del popolo); Giovanni 8,44 (“Voi avete per padre il Diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro”). Né vanno dimenticate le dure parole rivolte contro i farisei nel Vangelo di Matteo, in particolare nel capitolo 23, tanto più pesanti in quanto i farisei erano gli esponenti migliori della religione ebraica.

 

Non stupisce quindi ritrovare una serie di testi antigiudaici e spesso violenti in non pochi esponenti del primo cristianesimo tra cui Giustino, Tertulliano, Girolamo, Crisostomo, Gregorio di Nissa, Ambrogio, Agostino. Non stupisce la preghiera liturgica del Venerdì Santo pro perfidis Judaeis, abolita solo nel 1962, né le prediche forzate, i pogrom durante le crociate, le accuse di omicidio rituale, il livoroso antisemitismo di Lutero, la creazione dei ghetti da parte dei pontefici romani, fino al silenzio di Pio XII durante la Seconda guerra mondiale, incomprensibile a mio avviso senza questo retroterra teologico.

 

Naturalmente occorre mantenere il senso dell’equilibrio evitando, come scrive sempre Primo Levi, quella “tendenza manichea che rifugge dalle mezze tinte e dalle complessità”. Intendo dire che quanto ricordato sopra non autorizza a trarre la conclusione che il cristianesimo in quanto tale sia intrinsecamente antigiudaico, intollerante e violento. Che non sia così, è la sua stessa storia a dimostrarlo, perché non si spiegherebbero personaggi come Francesco d’Assisi, padre Kolbe, Carlo Maria Martini e molti altri, nonché la protezione dai nazisti che non pochi cristiani prestarono a non pochi ebrei a rischio della vita. Ma se non è il cristianesimo in quanto tale ad aver prodotto l’antisemitismo, non va mai dimenticato che in esso vi furono (e vi sono) esponenti il cui antigiudaismo teologico contribuì (e contribuisce) alla diffusione dell’antisemitismo etnico e della sua violenza.

 

Ma io penso che si debba essere ancora più radicali. I cristiani che diffusero (e che diffondono) l’antigiudaismo teologico non lo fecero (e non lo fanno) per odio preconcetto verso gli ebrei, bensì perché ritrovano nel loro testo sacro alcuni brani caratterizzati da antigiudaismo teologico. Tali brani sono paragonabili a cellule cancerogene. Il cancro che insieme ad altri fattori hanno contribuito a produrre si chiama antisemitismo. Le sue applicazioni sono Auschwitz-Birkenau, Treblinka, Buchenwald, Mauthausen, Bergen-Belsen, Dachau.

 

Al cospetto dei milioni di morti che queste idee cancerogene hanno prodotto e possono ancora produrre il compito della ragione teologica è di riconoscere, individuare, classificare, studiare, isolare e infine distruggere le cellule impazzite. Sto dicendo che affinché il male che è venuto e che ancora viene dal cristianesimo possa, non dico scomparire per sempre, ma almeno non rinascere nei modi dei secoli passati, è necessario praticare un’ecologia della mente cristiana, e prima ancora un’ecologia della Bibbia cristiana. Sarà mai possibile? Non lo so, ma ritengo giusto lavorare in questa direzione.

Di più su questi argomenti: