Il Cara di Mineo (foto LaPresse)

Il problema non è chiudere i Cara, ma trovare alternative

Massimo Bordin

A Mineo sono state arrestate 19 persone accusate di appartenenza ad una cosca della cosiddetta mafia nigeriana. Ma non è certo una novità degli ultimi sbarchi

In procura a Catania lunedì hanno tenuto a far sapere che non hanno mai avuto nessuna intenzione di procedere al sequestro della nave Sea Watch, come avevano invece annunciato diversi giornali, i più zelanti nei titoli di apertura. Viviamo tempi confusi nei quali la tradizionale divisione dei poteri vacilla, pencola, si mischia come un mazzo di carte. A volte si ha l’impressione che l’avvio della azione penale sia diventato appannaggio dell’esecutivo. Nel caso del sequestro annunciato occorrerà capire l’origine del pasticcio ma intanto altro velocemente si annuncia sullo stesso fronte.

 

Neanche lunedì la procura catanese è stata con le mani in mano. La Direzione distrettuale antimafia ha compiuto una operazione nel Cara di Mineo dove sono state arrestate 19 persone accusate di appartenenza ad una cosca della cosiddetta mafia nigeriana. Il gruppo, operativo secondo schemi classicamente mafiosi innestati su riti animisti, terrorizzava gli altri ospiti del centro, chiamiamolo così, di accoglienza. La mafia nigeriana non è una novità di questa stagione degli sbarchi, anche se solo oggi i giornali sembrano accorgersene, ma esiste da circa vent’anni nel nostro paese, legata soprattutto alla tratta della prostituzione e allo spaccio di droga. Non sono strutture come i Cara ad aver reso possibile il fenomeno criminale ma certo ne costituiscono un comodo habitat. Oggi tutti, da Zuccaro a Salvini, proclamano la necessità di chiudere i Cara, inutili e dannosi per tutti, a cominciare dagli immigrati, senza però far intravedere ipotesi alternative. A conferma che il problema, più che nell’impossibile blocco degli sbarchi, sta nella gestione degli sbarcati.