La camera ardente delle vittime di Genova. Foto LaPresse

La polemica sui funerali di stato a Genova non è inedita

Massimo Bordin

Qualsiasi evento luttuoso comporta la ripulsa della presenza istituzionale da parte di una quota, quando non della totalità, dei familiari delle vittime. L’esempio dei delitti di mafia

Le polemiche sull’opportunità di un funerale di stato non sono nuove ma nascono rovesciate rispetto alla logica che ormai le muove. Per spiegarlo è forse utile l’esempio dei funerali per i delitti di mafia. Nel 1971, quando a Palermo si tennero i funerali del procuratore Pietro Scaglione ucciso dai corleonesi, la presenza di rappresentanti delle istituzioni fu robustamente contestata da una minoranza che riteneva non lo stato indegno di onorare il procuratore ucciso quanto quest’ultimo, figura effettivamente controversa, indegno di onori. Nel 1992, per i funerali di Paolo Borsellino, la situazione era drammaticamente ribaltata. La folla si stringeva minacciosamente intorno al presidente della Repubblica Scalfaro fu sottratto a stento all’ira popolare in nome del magistrato. Così per il terrorismo, se i funerali delle vittime della strage di piazza Fontana ricompattarono intorno alle istituzioni un paese in subbuglio, i funerali delle vittime della strage alla stazione di Bologna, undici anni dopo, sancirono una spaccatura già da anni presente fra istituzioni e una parte non piccola dell’opinione pubblica, frattura che è andata sempre più accentuandosi. Ormai qualsiasi evento luttuoso comporta, quasi ritualmente la ripulsa della presenza istituzionale da parte di una quota, quando non della totalità, dei familiari delle vittime. I funerali per la tragedia del ponte Morandi non faranno eccezione ma gli esempi forniti provano a dimostrare che Grillo e i cinque stelle non sono la causa, piuttosto il prodotto, di questa situazione che si è costruita negli anni precedenti. Non da sola.

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