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Non lasciate l'opposizione allo spread

Claudio Cerasa

Perché il partito delle monetine populiste va affrontato con l’orgoglio del partito della moneta unica

In fondo oggi la scelta è più che mai chiara: stare dalla parte di chi difende le monetine o stare invece dalla parte di chi difende la nostra moneta? A prima vista può sembrare una forzatura, ma se ci si riflette un istante la principale divergenza tra l’aggressione alla vecchia classe politica andata in scena nell’inverno del 1993 a colpi di forconi travestiti da monetine e l’aggressione alla vecchia classe politica andata in scena in queste ore a colpi di monetine travestite da fischi ai funerali di stato riguarda un dettaglio che coincide con la differenza tra la moneta presente ieri e quella presente oggi.

   

Tra il 1992 e il 1993, la furia anticasta alimentata dallo tsunami di Tangentopoli venne domata da un governo d’emergenza nato per affrontare una crisi economica e far muovere all’Italia i primi passi verso l’euro. Venticinque anni dopo, la furia anticasta alimentata dallo tsunami del rancore populista potrebbe presto innescare un processo di senso opposto se non troverà sulla sua strada un fronte politico capace di domare la rabbia sfascista con una difesa credibile dei valori non negoziabili che si nascondono dietro l’unica parola che oggi può mettere in mutande il partito delle monetine: l’euro. Se si ragiona sul tema senza superficialità, si capirà facilmente che il motivo per cui gli azionisti del governo hanno deciso di fare del processo al passato il principale tratto identitario della propria proposta politica è legata alla necessità di creare nell’immaginario di ogni elettore l’illusione che possa esistere un fronte unico del complotto contro gli interessi dei cittadini italiani che parte dalle opposizioni, che sfiora le élite e che arriva fino all’Europa. La creazione di un fronte unico del complotto è un’arma retorica che deve possedere inevitabilmente ogni governo intenzionato a usare di fronte a un problema più la carta del capro espiatorio che la carta della soluzione. Ma se ci si riflette bene nell’approccio scelto da Salvini e Di Maio per affrontare il caso di Genova l’elemento che suscita maggiore preoccupazione non riguarda la violenza del messaggio dei populisti ma riguarda la debolezza del messaggio degli avversari. La difficoltà con cui i due maggiori partiti d’opposizione hanno cercato senza riuscirci qualcosa da dire nelle ore immediatamente successive al dramma di Genova è la spia di un problema più grande che riguarda una partita che sul futuro del paese potrebbe pesare più dello spartiacque emotivo del ponte Morandi. Per dirla in modo brusco: ma se Pd e Forza Italia non hanno la forza di evidenziare lo sciacallaggio compiuto dagli azionisti di governo sul crollo del ponte Morandi con quale forza potranno contrapporsi a uno sciacallaggio simmetrico che potrebbe essere messo in campo nei prossimi mesi in caso di crisi finanziaria del nostro paese?

  

Due giorni fa il Wall Street Journal ha ricordato che da qui al prossimo autunno le politiche scellerate del nostro governo potrebbero diventare una miccia capace di far crollare l’affidabilità dell’Italia, di mettere in fuga capitali dal nostro paese e di far esplodere improvvisamente l’Eurozona e la ragione per cui mai come oggi sarebbe importante avere una doppia opposizione interessata a costruire un’alternativa alla repubblica populista senza utilizzare la grammatica dei troll è nascosta in un passaggio molto importante contenuto nella relazione offerta qualche settimana fa alle commissioni delle politiche comunitarie di Camera e Senato dal ministro Paolo Savona. “Se a settembre a seguito del comportamento delle agenzie di rating partisse un’operazione speculativa, non fondata sul fatto che l’economia italiana sta peggiorando evidentemente noi dovremmo trovare un’alternativa. Un’alternativa interna, se qualche Paese si associa con noi o esterna, e questo sarebbe un fatto più delicato… La Russia è in grado di fare questo? Io ritengo che non abbia abbastanza soldi per fare questo tipo di operazioni, anche se vi ho detto che i soldi non servono: basta che esista la garanzia”. Non si sa cosa succederà a settembre e non si sa se le agenzie di rating trasformeranno in un declassamento ufficiale dell’Italia il crollo della fiducia registrato negli ultimi mesi nel nostro paese. Ma sappiamo che di fronte a un esecutivo che si sta esplicitamente preparando ad affrontare con tutti i mezzi a disposizione l’arrivo del cigno nero nessuno può permettersi di lasciare al solo spread lo spazio per fare opposizione all’estremismo di governo. Il partito delle monetine si sfida facendo rivivere il partito dell’euro, mettendo in campo con congressi immediati e primarie non più rinviabili i volti dell’alternativa possibile, rinunciando a rispondere al populismo con un surplus di moralismo e mostrando con chiarezza i rischi che può correre un paese ponendo sotto processo i valori non negoziabili dell’apertura, del mercato, del buon senso europeista. Ma se le opposizioni non troveranno un modo per mostrare vitalità i fischi teleguidati di Genova diventeranno il simbolo di un tracollo non meno pericoloso di un ponte che va giù: il collasso progressivo dell’alternativa allo sfascismo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.