L'imprenditore siciliano Antonello Montante. Foto LaPresse

Perché nella doppia indagine sul caso Montante ci rimette l'autorevolezza

Massimo Bordin

Inizierà a indagare anche la commissione antimafia della Sicilia. Come nella vicenda della “trattativa” si muovono in parallelo più indagini 

La commissione regionale antimafia in Sicilia indaga e convoca audizioni sul caso Montante. Nulla di male, verrebbe da dire. C’è però un problema. Se una commissione parlamentare si muove in parallelo a un’indagine giudiziaria in corso si crea inevitabilmente un gioco di rimandi fra l’una e l’altra indagine, che dovrebbero avere finalità diverse, finendo per intaccare l’autorevolezza di entrambe. Lo schema è già stato collaudato nella vicenda della “trattativa” quando la commissione parlamentare antimafia nazionale interagì con la procura di Palermo e una corte di assise di Firenze. In quel caso il circo mediatico-giudiziario divenne un circo a tre piste. La commissione siciliana si occuperà di politici e giornalisti, con una selezione che, sia pure su base professionale e non etnica, può apparire vagamente salviniana ma va benissimo, anche se sentire pure qualche magistrato sarebbe interessante. I tempi della vicenda possono offrire qualche spunto. L’indagine su Montante diviene pubblica nel febbraio del 2015. L’imputazione, gravissima, è di concorso con la mafia. L’annuncio degli arresti domiciliari, poi commutati dopo dieci giorni in carcerazione, risale al maggio di quest’anno. Dopo tre anni l’imputazione però è cambiata. La mafia? No. Non c’erano prove, dice il procuratore di Caltanissetta, l’abbiamo lasciata cadere ma intanto Montante ha corrotto delle persone per essere informato sulle indagini. Su questa base l’inchiesta si è dilatata fino a un “sistema di potere” che Montante avrebbe costruito ben prima dell’indagine. Ai tempi in cui il procuratore Scarpinato lo indicava come un modello, scrivendone sul quotidiano di Confindustria. Sentiranno anche lui ?

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