Matteo Messina Denaro

Messina Denaro capo di Cosa Nostra? Macché

Massimo Bordin

La versione dell'autista di un latitante in un processo a Reggio Calabria

Nei processi di mafia può capitare al cronista di distrarsi per un momento dalla trama processuale per considerare come più interessanti aspetti più generali, per esempio la storia dell’organizzazione e delle persone che la compongono. Da questo punto di vista nel processo che si svolge a Reggio Calabria, sull’omicidio di due carabinieri nel 1993, che la procura antimafia vede connesso agli attentati di quell’anno e dunque alla vicenda della famosa trattativa, la deposizione di Tony Calvaruso, autista di Leoluca Bagarella, offre più di uno spunto. La figura dell’autista di un latitante non va sottovalutata. “Ero l’unico a sapere dove abitava”, precisa Calvaruso con un certo orgoglio per la fiducia accordatagli dal capo mafia. Perché Bagarella, ha raccontato il pentito ai giudici, dopo l’arresto di Riina era diventato il capo di Cosa Nostra. Non Messina Denaro di Castelvetrano, “ma per carità, neanche a pensarci”. Bagarella è di Corleone e Riina era suo cognato. Non c’era partita neanche col vecchio corleonese Provenzano”. Ci andavamo una volta al mese. Gli portava dei soldi ma gli vietava di occuparsi delle strategie dell’organizzazione. Lo aveva tagliato fuori”. Bagarella, ora al 41 bis, era un capo astuto e crudele. Convinceva uomini delle altre famiglie a tradire i loro capi e pretendeva segreta e totale obbedienza. Era il metodo che aveva imparato da Riina ma l’autista, interrogato in proposito da un pm attento, se ne mostra inconsapevole, ignorando completamente la storia di Cosa nostra, che aveva cominciato a frequentare alla fine degli anni Ottanta, quando, dopo il maxi processo, aveva cominciato a cambiare perdendo la propria memoria e iniziando il suo declino.