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A proposito di garantismo

Massimo Bordin

Prendiamo spunto dall’articolo pubblicato ieri sul Corriere da Pierluigi Battista giocato tutto proprio sul “garantismo”. Termine storto o almeno molto particolare

In questa rubrica più di una volta si è scritto sull’ambiguità di termini come garantismo e giustizialismo e dunque si corre il rischio di annoiare a parlarne di nuovo. Ma se ci si sente costretti non si può evitare e non resta che sperare nell’indulgenza del lettore.

 

Prendiamo spunto dall’articolo pubblicato ieri sul Corriere da Pierluigi Battista giocato tutto proprio sul “garantismo”. Termine storto o almeno molto particolare. Per verificarlo basta constatare come sia intraducibile, nella accezione che gli viene data nel nostro paese, in qualsiasi altra lingua europea. Un po’ come la parola “cazzaro”, che ha una sua accezione romanesca assolutamente intraducibile in calabrese o in piemontese. Questione di sfumature ma decisive. Per chiarire si può usare una citazione rubata a Guido Vitiello. Leonardo Sciascia da qualche parte scrisse “Mi ripugna quando mi sento dire che sono un garantista. Io non sono un garantista: sono uno che crede nel diritto, che crede nella giustizia”.

 

Nel suo articolo, intitolato “La doppia truffa del garantismo”, Battista sembra in fondo concordare sulla ambiguità della parola, enunciando comportamenti oscillanti e “indulgenze verso se stessi” di sedicenti garantisti, fra i quali inopinatamente include i radicali. Non si sa di quali radicali parli ma sicuramente sbaglia sulla autoindulgenza o la doppia morale, che in ogni caso non potrebbero avere oggetto. Peraltro nessun radicale si è mai definito garantista. Battista scrive che “i garantisti sono una esigua minoranza”, nella quale evidentemente si include. Battista il garantista. Al contrario di Sciascia che credeva nella giustizia secondo diritto, che è fatta anche di sostanza.

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