Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il Pd prenda atto che qualcosa è cambiato

Massimo Bordin

Quello di Renzi ormai è il partito di un ceto urbano moderno che si sente europeo. Non c’è nulla di male in questo, a patto che dia vita a un dibattito serio su cosa fare adesso

Le parole di Renzi si prestano a molte considerazioni, giudizi, riflessioni sul futuro. Se si guarda indietro però, due parole, pronunciate all’inizio come bilancio, possono essere illuminanti: due aggettivi, strepitoso e straordinario, usati per descrivere il lavoro svolto il cui consuntivo è stato subito dopo descritto come una sconfitta evidente. Con assoluta convinzione, senza un velo di autoironia. Soprattutto continuando a non comprendere come l’enfatizzazione, un po’ anfetaminica e un po’ mondanamente affettata, del proprio operato sia stata una causa, non l’unica certo, della sconfitta. La popolarità di Gentiloni, tutta dovuta a un effetto di comparazione, ha poggiato quasi esclusivamente su un modo diverso di porsi e di esprimersi, anche se naturalmente non è bastata. Se poi dalle parole si passa ai fatti, i risultati una cosa la dicono. La fine della sinistra non sta nella sconfitta a Cavriago, unico luogo in Italia dove l’arredo urbano consiste anche in un busto di Lenin. Piuttosto il problema sta nel buon risultato di Milano, nella tenuta del partito a Torino e Firenze, nella vittoria dei Cinque stelle a Laterina, il paese di Maria Elena Boschi che però vince nella ricca Bolzano. Il Pd ormai è il partito di un ceto urbano moderno che si sente europeo. Non c’è nulla di male in questo, né prevede una condanna alla marginalità politica. A patto di comprendere il ruolo da interpretare, che dovrebbe essere l’oggetto di un dibattito urgente. Poi, se qualcuno vuole fare un dibattito approfondito, come ama dire, su come la mutazione sia avvenuta, tanto meglio. A patto di essere coscienti da subito che appunto è avvenuta.

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