Un manifesto prolife comparso alla manifestazione per la vita di Washington lo scorso 17 gennaio (foto LaPresse)

Se sopravvivi "per sbaglio" a un aborto non meriti di vivere

Redazione

Il voto del Senato americano sulle cure negate a chi nasce vivo nonostante l'interruzione di gravidanza è un sì all’infanticidio

Mentre il mondo si commuoveva per la storia del “miracolo” (cit.) del bambino più piccolo del mondo – un giapponese nato prematuro alla ventiquattresima settimana di gravidanza, e che pesava 268 grammi, uscito sano dall’ospedale dopo cinque mesi – i senatori democratici americani votavano contro il Born-Alive Abortion Survivors Protection Act, affossandolo (servivano 60 voti perché passasse, la maggioranza conservatrice è di 53): la proposta, arrivata dai repubblicani, chiedeva che fosse garantita assistenza medica ai neonati venuti al mondo vivi dopo un aborto. Nulla che intaccasse i diritti riproduttivi o la libertà di scelta delle donne, semmai un riconoscimento ulteriore di quanto stabilito nel 2002 (presidenza George W. Bush) dal Born-Alive Infant Protection Act, tuttora in vigore, che definisce il nato vivo dopo un tentativo di aborto indotto “persona, essere umano, bambino, individuo”, e gli riconosce tutti i diritti umani. Se è dunque persona con diritti, va da sé che un medico debba fare di tutto per salvargli la vita. La legge americana però non prevede sanzioni per il personale che, di fronte a un bambino uscito vivo dal grembo della madre perché abortito, non presta cure mediche. Il Born-Alive Abortion Survivors Protection Act avrebbe colmato questa lacuna, cercando di impedire che questi bambini “nati per sbaglio” venissero lasciati morire. Ma per i paladini dei diritti umani certi umani hanno meno diritti di altri: le ragioni avanzate dai democratici andavano a pescare nei discorsi già sentiti sulla libertà di scelta. Per Leana Wen, presidente di Planned Parenthood, questa legge era “basata su falsità, fatta per attaccare le donne e criminalizzare i dottori”, costretti a fornire cure non necessarie e dannose. Sospiro di sollievo nel paese che (a New York) di fatto consente l’aborto fino al nono mese e ora di fatto ammette l’infanticidio. Se neppure chi esce vivo dall’utero di una donna può essere curato in quanto persona, chi lo è davvero? In attesa di risposta, possiamo tornare a commuoverci per il miracolo del bambino nato prematuro in Giappone e sopravvissuto, incuranti della schizofrenia in cui l’idolatria dei diritti a targhe alterne ci ha fatto sprofondare.

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