Marco Cappato alla manifestazione davanti alla Camera dopo l'approvazione della legge sul testamento biologico (foto LaPresse)

Contro l'ottusa e feroce religione dei diritti

Giuliano Ferrara

Dopo il sì al testamento biologico. Una facoltà umana diventa idolo culturale ad uso della santificazione di un'idea dell'esistenza priva di sfumature, di civili non-detto

È vero che prima della legge appena approvata era così difficile morire quando lo si riteneva necessario e perfino beatificante, oltre la sofferenza? No, è falso. Abbiamo tutti, chi più chi meno, un’esperienza delle pratiche pietose negli ospedali e in altri luoghi di cura. Nessuno è così feroce da voler espropriare un morente della scelta libera, sua e dei suoi cari, di concludere. Questa considerazione potrebbe essere cavillosamente contestata con esempi estremi che secondo me non fanno testo. Piergiorgio Welby non voleva semplicemente morire, desiderava che la sua morte fosse d’esempio agli altri, e magari ai credenti cattolici, e cercava una ratifica culturale, legalistica, della sua scelta, trasformandola in diritto. Lo stesso vale per il papà di Eluana Englaro, che alla pratica carità delle suore che avevano letteralmente in cura sua figlia, e le offrivano il conforto delle loro mani sante e dell’acqua, voleva sostituire, per ragioni eminentemente ideologiche, l’atto, per lui certo caritatevole, della disidratazione come presa d’atto di una specie di morte vivente della figlia, che suonava dolore e scandalo per la sua mentalità e per il suo cuore di ultralaico e tribuno dell’ultralaicità. Lo stesso per dj Fabo nella vicenda ora sotto inutile processo per via dell’assistenza di Marco Cappato, il capo radicale impegnato nella battaglia. Dunque: non è che la gente era costretta a soffrire le pene dell’inferno in vita, è che la morte come atto di libera scelta individuale, e più ancora come diritto, legale, aveva e ha i suoi sostenitori. Sono due cose diverse, lo si dovrebbe riconoscere, ma è difficile che lo si faccia, perché in queste battaglie si è ciechi, fanatici, si è presi dalla religione dei diritti, una delle più ottuse e feroci tra le religioni, che ha portato tra l’altro alla rivendicazione del contrario della vita vivente, l’aborto, come appunto un diritto.

 

Ora, come subito ha detto Cappato, si va verso l’eutanasia, tra le lacrime della Bonino e di altri. Con il complementare suicidio assistito, e questo sarà un altro gradino nella scala del diritto di morire, una facoltà umana che diventa idolo culturale e civile ad uso della santificazione di un’idea dell’esistenza priva di sfumature, di civili non-detto, di cooperazione tra medici, malati e parenti e cari dei malati. L’orgia di soddisfazione perbenista e ipercorrettista seguita all’approvazione del testamento biologico, una cosa in sé ininfluente, che non cambia nulla di serio, salvo la codificazione di quanto dovrebbe appartenere a un altro ordine del sentimento della cosa, a qualcosa di più misterioso ed equivoco di un codice, mi ha suggerito un tuìt: “Bene, e adesso andiamo tutti a morire ammazzati  #con gioia”. Amarezza e ironia erano in quella breve frase elettronica appena dissimulate, com’è il caso in simili circostanze. Ovviamene i gozzuti della rete, e gli ipergozzuti, mi hanno augurato una morte lenta e una quantità di sofferenze, e si sono ingegnati a farmi la lezioncina sul fatto che il corpo è mio, la vita è mia, e la gestisco io. Beati loro che hanno la vita in proprietà personale e patrimoniale, possono metterla a reddito o anche venderla se gli salti il ticchio. Io mi sento proprietario di una Ford, di alcune case, di molte penne e matite, ma la vita non so da dove venga, e sospetto dall’amore, e non so bene dove vada, ma da laico devoto accetto il sospetto che vada verso l’amore. E qui mi fermo. La quantificazione non è il mio genere.

 

Mi toccherà perfino votarla, stavolta, la Bonino, per via di un giudizio elementare sulle classi dirigenti italiane, e per nostalgia renziana di Berlusconi. Almeno penso che finirà così. I paradossi mi piacciono, ma se mi allontano da certe vecchie battaglie apparentemente letteraliste ma sempre fondate sulla parola e sulla sintassi logica, se non mi identifico più negli argomenti eccessivi e pesanti dei militanti dispersi del catto-tradizionalismo a fin di voti e di coesione comunitaria, se non capisco a che serva, e allegoricamente che cosa ormai significhi, una chiesa che non accetta di buon grado bottigliette d’acqua portate dalla gente sul sagrato del Duomo, e fa sofismi scolastici sulla Civiltà Cattolica, bè, se me ne sto nella mia bolla, scusatemi. 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.