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Il Trump antiabortista

Mattia Ferraresi

Tutte le manovre pro life di un improbabile guerriero culturale che infiamma la marcia per la vita

Il più improbabile dei sostenitori della battaglia culturale sui temi etici e sociali, uno che fra le altre cose è accusato di aver chiesto a una pornostar di sculacciarlo con una copia di Forbes dove è ritratto in copertina, è diventato il primo presidente americano ad aver parlato in diretta ai partecipanti della marcia per la vita, la manifestazione pro life che si tiene ogni anno a Washington in occasione dell’anniversario della sentenza Roe v. Wade, che ha legalizzato l’aborto. In questi 45 anni alcuni presidenti hanno inviato messaggi scritti o registrazioni video, mentre Barack Obama ha accuratamente evitato anche le parole di circostanza; Donald Trump ha scelto l’intervento in diretta, benché in collegamento da una Casa Bianca avvitata attorno all’annuale dramma dello shutdown, un segno simbolicamente potente per un presidente abituato a far fuori questioni politiche cruciali con un paio di tweet nel dormiveglia. Per l’occasione si è attenuto a un registro emotivo ed empatico che ha raramente adottato nelle dichiarazioni pubbliche, dove preferisce, di solito, utilizzare la clava. Ma l’appoggio alla causa della vita non è soltanto un’evanescente dichiarazione a reti unificate. Ieri l’Amministrazione ha smantellato una direttiva del dipartimento della Salute emessa nel 2016 che difende i contesi finanziamenti a Planned Parenthood, la più importante associazione che offre servizi sanitari alle donne (l’anno scorso nelle cliniche di Planned Parenthood sono state interrotte oltre 300 mila gravidanze). La circolare emessa dall’amministrazione Obama chiariva agli stati che intendevano togliere i finanziamenti alle associazioni abortiste che il loro comportamento sarebbe stato considerato una violazione della legge federale che regola l’accesso ai servizi sanitari garantiti. Trump ha rivisto la rigida interpretazione della norma e ha riportato la situazione allo status quo ante: “Introdurre di nuovo gli standard pre 2016 restituisce agli stati la libertà di decidere quali criteri applicare per difendere il programma Medicaid e i suoi beneficiari”, ha detto il dipartimento della Salute. La decisione, presa sotto il segno dell’autonomia federalista, ha mandato in sollucchero i marciatori di Washington, che gridavano “Planned Parenthood, go fund yourself!”.

 

Giovedì l’Amministrazione aveva preso un’altra decisione nella stessa direzione, andando a mettere il dito in quel groviglio fra la causa pro life e la libertà religiosa che il suo predecessore ha fatto in modo di complicare ulteriormente. Il dipartimento della Salute ha annunciato la creazione della Conscience and Religious Freedom Division, una divisione che si occuperà di assistere gli obiettori di coscienza che regolarmente vengono presi di mira da ricorsi e denunce per essersi rifiutati di eseguire trattamenti medici in contrasto con la loro coscienza. I critici dicono che si tratta di una ulteriore “licenza di discriminare” offerta a medici dogmatici, ma l’affollamento di casi sulla libertà religiosa attualmente all’esame della Corte suprema testimonia che il rapporto fra diritti delle donne e libertà di coscienza sta attraversando un dibattito burrascoso. I funzionari del governo dicono che le misure approvate in occasione della marcia si attengono all’ordine esecutivo sulla libertà religiosa emesso a maggio, decreto in cui il presidente ha scritto che “non permetterà più che i credenti siano presi di mira, bullizzati o messi a tacere”. L’eliminazione del mandato che impone agli istituti di ispirazione religiosa di offrire contraccettivi e farmaci abortivi gratuiti ai loro dipendenti, attraverso le polizze assicurative obbligatorie, ha segnato un’altra vittoria per il mondo pro life, che non credeva di avere trovato in Trump un difensore di cause che anche certi presidenti repubblicani hanno agitato timidamente. La 45esima marcia per la vita ha offerto l’occasione per una sintesi delle manovre di Trump nel primo anno di governo, dalla nomina di Neil Gorsuch alla corte suprema alla reintroduzione della Mexico City Policy, che vieta l’uso di fondi federali per l’aborto. Quando ieri il vicepresidente, Mike Pence, nel discorso introduttivo ha definito Trump “il presidente più pro life nella storia americana”, molti si sono sorpresi a pensare che forse non si trattava della solita iperbole.

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