Matteo Salvini con Irene Testa e Maurizio Turco del Partito radicale (Ansa) 

barbari foglianti

Il boomerang dei referendum sulla giustizia

Roberto Maroni

La Lega li promuove insieme ai Radicali, ma potrebbero sortire l'effetto contrario a quello sperato: se non si raggiunge il quorum, addio riforma per i prossimi vent'anni. La strada giusta passa dal Parlamento. Vedremo se la politica avrà il coraggio di agire

L’11 giugno di 20 anni fa nasceva il secondo governo Berlusconi. Un governo che fece cose importanti, come la riforma del mercato del lavoro nel nome di Marco Biagi, il giuslavorista barbaramente trucidato dalle Br. Un governo che però, purtroppo, non riuscì a portare a termine la riforma più necessaria: quella della giustizia. Troppe le pressioni e le logge massoniche. Fu una grande occasione mancata, che avrebbe evitato ingiustizie aberranti come quelle che hanno colpito di recente alcuni sindaci accusati (e perfino sbattuti in galera) senza avere alcuna colpa.

Ecco, l’unico rammarico è che quel governo non sia riuscito a fare una riforma della giustizia in grado di porre fine alle assurdità a cui oggi assistiamo sbigottiti. La giustizia si deve (e si può) riformare: è un dovere morale e istituzionale. Ma come si vincono le fortissime resistenze? La Lega di Salvini ci prova: ha promosso, assieme ai Radicali, l’indizione di sei referendum. E’ la mossa giusta? Temo di no. Anzi, potrebbe addirittura rivelarsi un boomerang: se non si riuscirà a raccogliere le firme necessarie oppure se non si raggiungerà il quorum del 50 per cento +1 di votanti avrà vinto lo status quo, e allora addio riforma per i prossimi 20 anni. La strada giusta è un’altra: quella che passa dal Parlamento. Ma per fare questo occorre che la classe politica acquisisca la consapevolezza che siamo giunti al limite e abbia la volontà (e il coraggio) di agire. Sarebbe ora. Ma temo che anche stavolta non avverrà. Stay tuned.