Alessandro Di Battista (foto LaPresse)

Caro Dibba ti scrivo

Roberto Maroni

L'ex deputato del M5s aveva promesso di lasciare la politica e ci era sembrato un esempio di coraggio. Ma poi si è rivelato peggio di Renzi 

Il 2019 sarà, per la politica italiana, l’anno delle sfide. Il sovranismo di Salvini rottamerà il centrodestra orfano di Berlusconi? Sopravviverà il governo Conte alla crescente entropia della sua maggioranza? E che ne sarà della sinistra post Renzi, post Gentiloni, post se-stessa? Ma la domanda delle domande, oggi, è questa: perché Alessandro Di Battista è tornato dal suo tour enogastronomico in America latina? Per realizzare il suo sogno, far saltare l’alleanza con l’odiata Lega? O per dare attuazione all’antica massima “i nemici sono dentro il partito e gli avversari fuori” e fare le scarpe al fratello-coltello Di Maio?

 

Nell’attesa di vedere i fuochi d’artificio che hai annunciato dai campi di sci esclusivi del Trentino, caro Dibba ti scrivo: per un attimo abbiamo pensato che il tuo ritiro dalla politica fosse una decisione vera, ci eri sembrato un esempio di coraggio (“Lascio la poltrona da deputato”) e di coerenza (“Mai al governo con la Lega”), ci hai fatto pensare che non intendevi la politica come una professione per tutta la vita, che non eri come il Renzi del “se perdo il referendum mi ritiro dalla politica”. Eravamo anche un pò preoccupati, noi della vecchia scuola: che lezione ci ha dato questo Dibba, il “nuovo che avanza” è nuovo per davvero! Ma il tuo rientro in campo ci dà conforto e ci rassicura: le buone vecchie abitudini della politica romana non cambiano mai. Quelli come voi, noi del rito ambrosiano li chiamiamo “casciabàll”. Serve la traduzione? Stay tuned.

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