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Il problema è che c'è chi prende sul serio i moniti di Di Battista dal Guatemala

Massimo Bordin

L’ultimo recita “Hanno la faccia come il culo”, praticamente un plagio di una prima pagina di “Cuore” di trent’anni fa. Un plagio involontario di comunicazione politica

Il Centroamerica ha un suo fascino complicato. Da Tijuana, raccontata da Orson Welles in un memorabile, lunghissimo piano-sequenza in “L’infernale Quinlan”, fino a Panama di “faccia d’ananas” Noriega e del sarto di John Le Carré. Naturalmente la realtà è più aspra, molto meno godibile di cinema e letteratura. Mostra una striscia di terra attraversata da carovane di profughi che, muovendosi a piedi, si ingrossano strada facendo e puntano ad arrivare fino al confine con gli Stati Uniti, convinti che l’unione fa la forza. Non sempre è vero, talvolta indirizza meglio i lacrimogeni e i proiettili di gomma, e in ogni caso ci sono reticolati, filo spinato anche sulle spiagge, magistralmente descritti nel loro orrore da Xavier Cercas. Un grande del cinema americano, un maestro inglese della spy-story, un eccellente scrittore spagnolo. Anche il nostro paese ha dato il suo contributo al mito centro americano. Nel nostro caso il luogo chiave è il Guatemala. Chi non ricorda le trasferte di Antonio Ingroia, il pm dei due mondi? Oggi è il momento di Alessandro Di Battista che dal Guatemala invia in patria elaborati messaggi politici. L’ultimo recita “Hanno la faccia come il culo”, praticamente un plagio di una prima pagina di “Cuore” di trent’anni fa. Un plagio involontario di comunicazione politica, Dibba probabilmente non ne sapeva nulla e poi c’è sempre qualcuno che ha detto la stessa cosa e ha aperto la strada. La cosa incredibile è che seri editorialisti prendono sul serio il personaggio e valutano il suo ritorno come una importante variabile politica e lo trattano neanche fosse De Gaulle a Colombey-les Deux Églises.

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