Bandiera Bianca

Emma Stone, telefonami: dobbiamo parlare di appropriazione culturale

Antonio Gurrado

Ora che l'attrice ha vinto il premio Oscar per "Povere creature!", tutti battono le mani e l'acclamano. Gli stessi che qualche anno fa volevano la fine della sua carriera per aver interpretato una donna hawaiana in "Aloha"

Emma Stone, ti amo, telefonami. Così, già che stiamo, ne approfitteremo per parlare di una cosetta. Ora che hai vinto l’Oscar per "Povere creature!", con una performance magistrale a dir poco, tutti battono le mani perché, interpretando questa donna morta alla quale trapiantato il cervello del feto che porta in grembo durante l’età vittoriana, hai fornito un mirabile esempio di femminismo e di empowerment, di consapevolezza sessuale allegra e mai morbosa, di autodeterminazione solida ma priva di compiacimento, di liberazione di un individuo e di un’intera categoria sociale. Eppure quelli che ti esaltano adesso sono gli stessi che, qualche anno fa, avevano detto che la tua carriera era finita per reato di appropriazione culturale. Che non dovevi farti scritturare per recitare in "Aloha" il ruolo di una donna hawaiana di ascendenza asiatica. Protestavano perché non eri né hawaiana né di ascendenza asiatica, quindi il ruolo spettava a qualcuna che avesse esattamente quelle caratteristiche. Emma Stone, ti amo di più a ogni riga che passa: telefonami e ci domanderemo perché invece oggi nessuno ti critica per avere interpretato Bella Baxter senza essere già morta né esserti fatta trapiantare il cervello di un feto. O, per lo meno, essere vissuta nell’età vittoriana.

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