BIrreria Pave a Milano (LaPresse)

Bandiera bianca

La nuova ondata di astemia salutista dimostra solo che la gente non sa bere

Antonio Gurrado

Tra gli innumerevoli "da oggi non bevo più" dopo le festività natalizie e la moda dell'alcolismo fashion, forse il consumo responsabile è ciò che tutti dovremmo imparare per trovare un equilibrio 

Si chiude un gennaio preoccupante per i pub d’oltremanica, per i vignaioli francesi, per i selvaggi bartender d’America e, in genere, per chiunque commerci in alcolici a qualsiasi livello: la moda del gennaio sobrio ha abbattuto come non mai le percentuali di acquisto e, per estensione, di distribuzione e di produzione. Giova ricordare che quest’ondata di astemia salutista non si fonda sul principio in sé che l’alcol faccia male (argomento in cui non mi addentrerei neanche da sobrio), bensì insorge come rimedio a un dicembre in cui si è ecceduto nell’alzare il gomito, dato il proliferare dei festeggiamenti natalizi su un arco di tempo viepiù prolungato.

I timori che la sobrietà di questo gennaio possa estendersi a febbraio e oltre, magari per sempre, contrastano col dato di fatto che la moda dell’astemia sia gemella dalla moda dell’alcolismo fashion, e costituisca insomma una reazione uguale e contraria all’azione che l’ha causata; si tratta del tentativo di trovare in un principio assoluto (bevo tantissimo; non berrò più) una soluzione perenne di incrollabile felicità. È superfluo fare pronostici su come andrà a finire: a novembre staremo già brindando per Natale, a dicembre appariranno i primi appelli accorati contro il consumo eccessivo di alcol, a gennaio 2025 si griderà alla svolta epocale dell’astemia collettiva. È più utile specificare (lo dico da sobrio, giuro) come questa storia non dimostri che l’alcol fa male, solo che la gente non sa bere bene.

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