Se l'Ilva è su un binario morto, lo stato si prepara a farle il funerale?

Alberto Brambilla

L’intervento pubblico per il salvataggio dell’acciaieria Ilva di Taranto sta prendendo faticosamente forma sotto i peggiori auspici e si prospetta oltremodo oneroso.

Roma. L’intervento pubblico per il salvataggio dell’acciaieria Ilva di Taranto sta prendendo faticosamente forma sotto i peggiori auspici e si prospetta oltremodo oneroso per lo stato. La criticità della situazione è emersa con chiarezza durante l’audizione del commissario uscente dell’Ilva Piero Gnudi davanti alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera.

 

Gnudi è stato nominato a giugno in sostituzione di Enrico Bondi e ieri ha annunciato la fine anticipata del suo mandato. Dovrà cedere il posto a un nuovo commissario che si occuperà dell’amministrazione straordinaria dell’azienda, un fallimento pilotato; procedura allo studio del governo tramite la modifica della legge Marzano che verrà discussa nel Consiglio dei ministri della Vigilia di Natale. Gnudi, ex presidente dell’Enel e già amministratore dell’Iri, ha detto chiaramente che nessuno dei possibili acquirenti sarà mai disponibile a rilevare uno stabilimento sotto sequestro della magistratura al 75 per cento per via di due inchieste (quella “Ambiente svenduto”, il processo inizia a gennaio, e una aperta di recente per sversamento di rifiuti tossici). La produzione di acciaio si è quasi dimezzata in due anni e ora le riserve di cassa sono esaurite. “I soldi sono finiti” e dopo il pagamento – incerto – degli stipendi di dicembre “faremmo fatica ad andare oltre”, ha detto Gnudi. Inoltre le forniture di gas necessarie a mantenere in attività gli impianti sono in procinto di essere bloccate dall’Eni che fungerà da fornitore di ultima istanza fino al 29 dicembre. Ilva non ha trovato un fornitore alternativo e al momento non ha soddisfatto le richieste della compagnia degli idrocarburi partecipata dal ministero dell’Economia ovvero una fideiussione di 240 milioni di euro sui pagamenti dell’anno prossimo. “Finora abbiamo pagato tutte le fatture. Abbiamo chiesto di poter pagare settimana per settimana in anticipo e anche questo non ci è stato concesso. Non credo che Eni cesserà le forniture, sarebbe una catastrofe e ci sarebbe il rischio di incidenti”. Lo stop immediato del gas che alimenta gli altiforni provocherebbe infatti la rottura definitiva dei giganteschi impianti (alti oltre 40 metri). Per precauzione sono già cominciate le manovre di “prefermata” propedeutiche a un graduale spegnimento con un calendario già fissato. L’altoforno 5, il più importante, verrà fermato e rifatto prima del previsto (costo 350 milioni), ormai è arrivato a fine corsa. Crisi finanziaria, produttiva, impianti in decozione e verso lo stop. Un decreto può risolvere la situazione? Se lo stato prenderà l’Ilva “in affitto” (parole di Gnudi) per investire nelle migliori tecnologie ambientali (la questione ambientale – motore del sequestro – è finita in secondo piano in questi mesi) basterà a convincere la magistratura a mollare la presa? Non proprio. Il sub-commissario all’Ilva, l’avvocato Corrado Carrubba, ritiene che pure l’applicazione delle onorose migliorie non porterà automaticamente al dissequestro.

 

[**Video_box_2**]Gli imprenditori preparano la protesta

 

I creditori tremano all’idea dell’amministrazione straordinaria che li vedrebbe penalizzati. “Cercheremo di far sì che siano il meno possibile”, dice Gnudi. Oltre alle banche (Unicredit, Banco Popolare e Intesa Sanpaolo) ci sono 400 imprese dell’indotto. La prospettiva preoccupa il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, che come già annunciato in passato minaccia azioni plateali di protesta. “Non accetteremo un nuovo commissariamento o una Marzano modificata che non tenga conto delle esigenze dei fornitori locali – dice Cesareo al Foglio – Siamo preoccupati e procederemo nell’immediato con azioni di protesta sia di natura giuridica, perché per questi due anni di commissariamento abbiamo lavorato sotto la garanzia dello stato, sia di piazza”. Gli imprenditori aspettano la gran parte dei finanziamenti assicurati dalla gestione commissariale per il mese di dicembre (10 milioni), oltre a 50 milioni di scaduto. “Siamo pronti a fare le barricate, a mettere in libertà il personale e bloccare le attività dentro lo stabilimento. Non saremo in grado di pagare gli stipendi, le tredicesime a 5.000 persone e ci sembra paradossale che mentre il governo paventa decreti su decreti la fabbrica si stia spegnendo nel silenzio generale della comunità locale”.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.