foto LaPresse

Ilva et Urbi

Alberto Brambilla

S’avanza l’idea di una soluzione organica per risolvere la crisi dell’Ilva e pure quella di Taranto.

Roma. Dopo vari ondeggiamenti, l’esecutivo ha palesato l’intenzione di aggredire la crisi industriale più grave e complessa della storia d’Italia con un approccio olistico. Il prossimo decreto salva Ilva assumerà le sembianze di un decreto salva Taranto. Lo si intuisce dall’intervista al presidente del Consiglio Matteo Renzi a “Che tempo che fa” di domenica. “Le famiglie tarantine e i bambini meritano una grande operazione di risanamento ambientale e anche industriale”, ha detto il premier spiegando che “l’importantissimo” provvedimento toccherà il museo archeologico e anche il porto cittadino, ovvero una risorsa culturale e una infrastrutturale esterne all’Ilva spesso dimenticate. Si andrà dunque oltre l’ipotesi di un affitto degli impianti per tre anni tramite Fintecna, holding pubblica dove giacciono le partecipazioni ex Iri; a sciogliere le complesse tecnicalità economico-giuridiche collegate ci pensa il consigliere strategico di Renzi Andrea Guerra col ruolo di pivot tra Avvocatura generale dello stato e il ministero dello Sviluppo. Tuttavia un intervento pubblico onnicomprensivo pare per ora un “wishful thinking”, parlamentari tarantini del Pd consigliano infatti cautela nel parlare di finanziamenti ad hoc visto che la legge di stabilità, approvata dal Senato, non ne prevede. L’idea che la crisi del siderurgico sia inscindibile da quella cittadina è stata suggerita a Renzi – il quale ha toccato il suolo tarantino per poche ore a settembre – dai fatti e dai suoi molti consiglieri ufficiali, occulti oppure esterni in queste settimane. “Taranto ha bisogno di serenità”, ha detto il subcommissario dell’Ilva Corrado Carrubba in audizione alla Camera, tornato di recente dalla fabbrica. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, dopo una visita, ha insistito sul potenziamento del museo archeologico coi suoi tesori della Magna Grecia. L’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, figura di mediatore tra le istanze ambientaliste e industrialiste, sabato ha invocato una risposta capace di liberare le “energie” di una comunità “stanca” dei “torti subiti”.

 

Il decreto Ilva et Urbi, per la fabbrica e alla città, potrà dunque ricevere il plauso della chiesa cattolica. Ovvero uno dei principali motori della nascita dello stabilimento Italsider nel 1960, poi suo custode nonché tramite privilegiato tra l’operaio, la città e il divino (“a voi parlerò di Dio, a Dio parlerò di voi”, scriveva l’arcivescovo Gugliemo Motolese, in carica dal ’61 all’85, in una pubblicazione targata Italsider). Il legame tra l’associazionismo operaio, tra il lavoratore e Taranto, la vità e la fabbrica si è interrotto con la fine dello stato padre-padrone nel 1995 e la consegna dell’acciaieria alla famiglia Riva. Il patron Emilio Riva aveva fatto correre con profitto lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, aveva investito ingenti cifre – anche in interventi ambientali – ma ha creato una monocultura dell’acciaio, ha reciso il legame tra l’azienda e Taranto ponendosi in contrasto con la cittadinanza fino alle estreme conseguenze dell’antagonismo radicale che emerge oggi. Il divario generazionale è enorme.

 

[**Video_box_2**]Gli anziani conservano un ricordo bucolico dell’antica Tamburi – a ridosso della quale sono stati costruiti i parchi minerali dell’acciaieria – mentre i giovani hanno visto solo un quartiere degradato. La città vecchia, esattamente nel mezzo tra la zona residenziale e lo stabilimento, da borgo marinaro con bellezze architettoniche ottocentesche è ora una specie di isola di tortuga, tra vichi stretti e palazzi pericolanti, dove si sopravvive di microcriminalità (per quanto sia disorganizzata). Le associazioni culturali da tempo cercano di riconquistarla metro per metro e renderla vitale. In soccorso a Renzi, in cerca di una soluzione organica, c’è un concetto antico del Giappone shintoista. “Nemawashi” vuol dire “lavorare attorno alle radici”, preparare un albero per essere trapiantato. Tradotto per Taranto significa lavorare in profondità per dare sollievo alla comunità del capoluogo ionico che, per quanto non esente da colpe – avere abdicato a una florida iniziativa imprenditoriale –, non ha ricevuto compensazioni di sorta per decenni.

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.