Ipotesi fornace pubblica

Perché la Confindustria dell'acciaio loda lo stato protagonista sull'Ilva

Alberto Brambilla

Intervento circoscritto nei tempi e nei fini, il modello Chrysler e il ruolo dei Riva. Parla Gozzi, n.1 di Federacciai. Primo accordo all’Ast Terni.

Roma. “Siamo pronti a immaginare misure non convenzionali sulla siderurgia, settore strategico che non abbandoneremo mai, e faremo qualsiasi cosa sia necessario”. Con una celebre formula presa a prestito dal banchiere centrale Mario Draghi, ieri il premier Matteo Renzi è tornato a parlare di un possibile intervento pubblico sull’Ilva durante il question time alla Camera dando l’annuncio dei progressi per risolvere la crisi della Ast di Terni, tramite l’accordo sindacale sugli esuberi, e ricordando la fresca cessione della ex Lucchini all’algerina Cevital. Un ruolo statale a Taranto è una delle opzioni discusse ieri sera a Palazzo Chigi, al pari della richiesta di finanziamenti europei. Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, parlando col Foglio non si scandalizza, anzi. Fu tra i primi a ipotizzare uno schema sul modello del salvataggio di Chrysler: il governo americano ha avuto la maggioranza delle quote della casa auto di Detroit per due anni e poi l’ha lasciata a Fiat. Per Ilva non c’è un piano definito, anche Gozzi lascia aperte tutte le strade, è “bene che il governo approfondisca le proposte già sul tavolo”, quella di ArcelorMittal (una manifestazione di interesse) e quella di una cordata italiana capitanata da Arvedi (riferita tramite Federacciai). Poi spiega la via obamiana per l’acciaio: “Siamo pragmatici. Ha funzionato nel paese capitalista per eccellenza, non è una blasfemia nemmeno per l’Ilva purché sia limitato nel tempo e finalizzato agli investimenti per gli interventi ambientali e che poi l’acciaieria torni ai privati, come dev’essere dopo qualsiasi ristrutturazione”, dice Gozzi. L’assunto è che il 2015 sarà un anno difficile all’Ilva – persiste la sovracapacità produttiva in Europa, bisognerà rifare un altoforno di Taranto, oltre agli interventi ambientali – e una ricapitalizzazione sarà necessaria. “I privati italiani e fors’anche stranieri non riuscirebbero a sostenerla. C’è il rischio che lo stato debba mettere comunque capitali, ma almeno che abbiano una funzione importante altrimenti sarebbero soltanto un sostegno finanziario e si rischiano ammonimenti da Bruxelles. Perciò lo stato dovrebbe avere un ruolo da azionista di maggioranza”. Ma come fare coi Riva che sono i proprietari dell’Ilva?

 

Per il numero uno di Federacciai, in carica dal 2012, i diritti costituzionali di importanti associati come i Riva “vanno tutelati”. Perciò l’ipotesi ventilata sulla stampa di un fallimento pilotato tramite legge Marzano, oltre a “danneggiare i fornitori Ilva che vantano crediti per 400 milioni”, sarebbe “paradossale per i Riva che non sono stati giudicati da alcun tribunale e hanno tenuto l’azienda in bonis fin quando hanno potuto”. Tuttavia i proprietari dell’Ilva, se sono disponibili come ripetono spesso a fare la loro parte, dovrebbero acconsentire a diluirsi, o no? “Se si procede come ho detto si potrebbe fare. Lo stato dovrebbe entrare in occasione del prossimo aumento di capitale”.

 

Gozzi è stato il primo confindustriale a denunciare in solitaria “il massacro giudiziario” dell’Ilva, dopo le inchieste nate due anni fa. Una partecipazione pubblica mitigherebbe le pressioni della magistratura? “La sovranità dello stato aiuterebbe a ristabilire la normalità a Taranto. Un privato non ce la fa a contrastare gli eccessi di magistratura e ambientalisti. L’impressione è che pure i commissari, ovvero pubblici ufficiali, facciano fatica. Lo stato si può porre come argine a garanzia di un asset dichiarato di ‘interesse strategico’”.

 

[**Video_box_2**]Gozzi “preferisce” una cordata italiana per l’Ilva, ma non si può dire sia pregiudizialmente ostile a investitori esteri (ha venduto la quota di maggioranza relativa di una delle cinque divisioni della sua Duferco ai cinesi di Hebei). Ma cosa risponde a chi imputa ai siderurgici italiani poca lungimiranza? “Molte delle aziende siderurgiche sono in difficoltà da sei o sette anni. Il settore non ha la dimensione né la forza finanziaria per un’operazione di concentrazione. E’ ovvio che non c’è una dimensione simile a quella dei concorrenti asiatici, ne prendiamo atto. Non per niente l’unico soggetto vero che si è palesato con una manifestazione di interesse è il più grande gruppo del mondo, ArcelorMittal”. La sintonia col governo è evidente su Ilva ma su Piombino no. “La vendita agli algerini è una buona cosa per l’occupazione e per il governo ma se Cevital aumenterà, come dice, il consumo di rottame ed energia, e produrrà più acciaio da forni elettrici, si rischia di mandare in sofferenza le acciaierie del nord. Perciò stiamo studiando anche l’utilizzo del ‘preridotto’”. Cioè il minerale di ferro depurato grazie al gas naturale al fine di ridurre le emissioni in inquinanti. Era un’opzione studiata dal’ex commissario Enrico Bondi per l’Ilva e all’epoca criticata da Gozzi perché antieconomica. Ora che “i prezzi del gas e del minerale sono calati, potrebbe essere uno degli strumenti per conciliare capacità produttiva e ambiente a Taranto”, dice Gozzi.
Alberto Brambilla

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  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.