Perché l'Italia è diventata il parco giochi di investitori flop

Alberto Brambilla

In questi sette anni di crisi industriale il fenomeno di sedicenti cavalieri bianchi che promettono di salvare imprese decotte è diventato rilevante. L’Italia con le sue 159 vertenze aperte è un terreno fertile perché spesso ci si fa scudo con la questione occupazionale per tamponare crisi difficili.

Roma. In questi sette anni di crisi industriale il fenomeno di sedicenti cavalieri bianchi che promettono di salvare imprese decotte è diventato rilevante. L’Italia con le sue 159 vertenze aperte è un terreno fertile perché spesso ci si fa scudo con la questione occupazionale per tamponare crisi difficili se non impossibili da risolvere senza una radicale riconversione produttiva. Al ministero dello Sviluppo si verifica, si respinge, e si combatte con le bufale. Tuttavia molto spesso dietro a un nome o a un marchio si nascondono improvvisati avventurieri che pensano sia possibile fare leva su una situazione di crisi incancrenita, magari con una popolazione lavorativa ingente, per proporre progetti mirabolanti capaci solo sulla carta di rivitalizzare l’esistente. Bolle di sapone. La provenienza degli investitori viene vista come una garanzia di capitali abbondanti: “Arrivano i cinesi, arrivano gli sceicchi”. Spesso però i cinesi non sono multinazionali di Pechino ma sono semplicemente dei prestanome di un negozio di forniture elettriche di Lucca, è il caso della Hong Kong Wan Hao International Trading che voleva rilevare le miniere della Alcoa di Portovesme, in Sardegna, nel 2012 (il gruppo americano dell’alluminio nel mirino dei cinesi c’è poi finito davvero, ma erano hacker informatici). Certo, come disse Pier Luigi Bersani quando si interessò alla vertenza Alcoa, bisogna fare attenzione perché se quattro cinesi su cinque sono italiani col codino, uno è autentico e compra. Intanto però si alimenta l’attesa legittima dei lavoratori e la crisi produttiva s’aggrava. Di italiani col codino, poi, ne sono passati pure in banca, vedi l’eclettica Nit Holdings, più spoletina che asiatica, che lanciò un’offerta da 10 miliardi per rilevare banca Monte dei Paschi assetata di capitali.

 

Intenzioni opache hanno uno scopo quando si parla di industrie. C’è chi s’affaccia per accedere gratuitamente alla data room aziendale – caveau virtuali con i dati sensibili – o a scopo promozionale per dimostrare al mondo, e magari alla Borsa, di essere in grado di tentare delle acquisizioni. Altri sono sotterfugi di bassa cucina.

 

La scottatura dopo il passaggio di un investitore improvvisato lascia cicatrici. Non è stato facile per Cevital, la più ricca conglomerata privata algerina, accreditarsi per rilevare il sito delle acciaierie ex Lucchini di Piombino, in cerca di un compratore da due anni. L’azienda famigliare più famosa d’Algeria, intenzionata a investire fino a un miliardo di euro, ha rischiato di essere superata dall’indiana Jsw Steel dalla comprovata onorabilità industriale ma portatrice di un’offerta inferiore. Lo scetticismo verso un investitore nordafricano è presto spiegato. Mesi prima era passato di lì il fantomatico magnate giordano Khaled al Habahbeh. Alcuni sindacalisti lo vedevano come “ultima spiaggia”, l’amministrazione comunale lo incensava. C’era da dubitare della sua Smc, azienda tunisina dei cibi precotti, e di lui. Prometteva poli alberghieri, resort e rilanci, ma il suo passato da ricercato dalle autorità americane per traffici poco chiari era rivelatore, in caso non bastasse un magro conto in banca come prova (i ristoratori di Piombino aspettano che passi a pagare il conto).

 

[**Video_box_2**]Il settore automobilistico, architrave della manifattura postbellica, è un crocevia di investitori flosci. Termini Imerese, sito siciliano abbandonato da Fiat perché anti-economico nel 2011, è una calamita. Il finanziere Simone Cimino voleva fare city car, la De Tomaso prometteva faville,  la Dr Motor di Massimo Di Risio vantava link coi cinesi, Grifa immaginava auto elettriche. I finanziatori brasiliani di Grifa, holding milanese povera di capitali, dopo mesi d’attesa non hanno presentato garanzie finanziarie durante la riunione decisiva al ministero dello Sviluppo a dicembre. In quel frangente è spuntato il nuovo cavaliere bianco, la Metec/Stola di Roberto Ginatta, borghesia torinese, amico di Casa Agnelli,  e fedele fornitore di Fiat. Certo Ginatta è più solido dei predecessori, con Bluetec (la newco deputata al rilancio del sito palermitano) vuole produrre auto ibride e reimpiegare i 750 operai entro il 2018 quando Termini sarà a pieno regime. Denari privati? No: su 290 milioni di euro investiti 140 arrivano dalla regione, 150 dallo stato, oltre alla sicurezza degli ammortizzatori sociali pretesa dai sindacati (non si sa mai). Salvataggio assistito, dunque. Il caso è speciale perché Metec è stata “distratta” da un progetto per “salvarne” un altro: era in trattative da due anni per rilanciare la Om carrelli di Bari. Per una crisi tamponata, un’altra si riapre al Mise: ma ora per i 198 dipendenti Om non c’è  “piano B”. Allo studio del ministero c’è un fondo di investimenti che agevoli le ristrutturazioni e gli investimenti pubblico-privati, il che rimanda alla necessità di una riorganizzazione del sistema industriale per settori. Nella prima stesura del Jobs Act se ne individuarono sette. Sono rimasti su carta.
 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.