Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (foto Ap)

Un trionfo di Erdogan

Ecco il patto segreto tra Turchia e al Baghdadi per liberare 49 ostaggi

Daniele Raineri

Una fonte siriana ci spiega un pezzo dell’operazione dei servizi di Ankara per salvare i prigionieri catturati a Mosul.

Roma. La Turchia ha fatto un accordo segreto con lo Stato islamico per liberare il personale del suo consolato a Mosul, tenuto in ostaggio da giugno. Al centro dell’accordo c’è stato uno scambio di prigionieri e il Foglio è in grado di spiegare chi è almeno una di queste persone che lo Stato islamico teneva molto a riavere indietro.

 

Dieci giorni fa una fonte diplomatica turca ha spiegato al Foglio la posizione del governo di Ankara con il gruppo jihadista così: “Al liceo i bulli delle classi superiori facevano questo: prendevano i ragazzi più piccoli per le palle, li alzavano e li costringevano a cantare l’inno nazionale però con le parole a rovescio partendo dal fondo. Ecco, la Turchia è in questa posizione. Lo Stato islamico è in posizione di vantaggio, ha in mano i nostri ostaggi e potrebbe fare da un momento all’altro quello che ha fatto con i reporter americani, dei video con decapitazioni”. La fonte si riferiva a una impasse all’apparenza irrisolvibile: i jihadisti avevano in mano da tre mesi 46 turchi e tre iracheni catturati dentro il consolato di Mosul durante la conquista della città e disponevano di un enorme potere di ricatto. Per questo motivo la Turchia ha sì partecipato all’incontro di Jeddah, in Arabia Saudita, tra i paesi che stanno formando una coalizione di guerra sotto la guida americana contro il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi e anche alla conferenza di Parigi sulla stabilizzazione dell’Iraq, ma lo ha fatto da semplice osservatore esterno, sostenendo che non parteciperà ad alcun intervento militare e negando l’uso delle sue basi aeree vicine alla Siria e all’Iraq. Anche a luglio, quando le forze speciali americane hanno tentato un raid a Raqqa, in Siria a pochi chilometri dalla Turchia, per liberare gli ostaggi occidentali, Ankara ha negato le sue basi.

 

Sabato scorso, un’ora dopo l’alba, gli ostaggi sono stati liberati ed è stato un trionfo nazionale.

 

Il console emaciato ha detto di essersi opposto ai suoi carcerieri che volevano girare un video con lui, i media hanno tutti lodato il ruolo dei servizi segreti (il Mit), che hanno ottenuto il rilascio dei 49 senza un blitz militare dall’esito incerto e senza pagare un riscatto. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha detto che la liberazione è stata il frutto di “uno scambio politico e diplomatico”.

 

Tempo addietro il Foglio ha tentato di intervistare la moglie di Haji Bakr – uno dei personaggi più significativi e meno noti nella storia dello Stato islamico. Bakr era un colonnello iracheno e lavorava nell’intelligence di Saddam Hussein ma qualche anno dopo l’invasione americana – e dopo avere perso il posto perché membro dell’ex regime – si unì allo Stato islamico. Nell’aprile 2010, quando il gruppo subì un colpo quasi mortale con l’uccisione del leader (Abu Omar al Baghdadi, da non confondere con l’attuale: Abu Bakr), il colonnello dei servizi segreti si reinventò e divenne artefice dello Stato islamico così come il mondo lo conosce adesso. Portò al potere al Baghdadi, di cui divenne consigliere e vice, e grazie anche alla sua esperienza creò l’apparato di sicurezza che protegge il califfo.

 

[**Video_box_2**]I ribelli siriani hanno ucciso Haji Bakr il 5 gennaio e hanno fatto prigioniera la moglie. Un contatto spiegò al Foglio che i ribelli consideravano la donna un asset prezioso: “Il comandante militare dello Stato islamico, Omar il ceceno, chiede di lei in ogni negoziato. I ribelli offrono anche altri 60 prigionieri, ma al ceceno non interessano, lui insiste per avere indietro la moglie di Haji Bakr. Ha la priorità su ogni cosa”. Perché? “Temono che lei possa parlare di cosa ha visto, di come suo marito è passato da essere uomo di Saddam a capo del gruppo. Credo che se sarà rispedita indietro, la uccideranno”.

 

Sabato la donna è stata restituita allo Stato islamico, nel giorno della liberazione degli ostaggi turchi. I ribelli che la tenevano difficilmente possono dire no al governo turco, che controlla la frontiera e quindi tutto il viavai così importante per i siriani in guerra con il regime. Ieri un giornale turco pro governo confermava che c’è stato uno scambio di prigionieri di alto livello con lo Stato islamico, grazie anche a una nuova legge che dà facoltà all’intelligence di fare scambi di prigionieri che non abbiano la nazionalità turca (la legge è citata dal giornale). La moglie di Bakr farebbe parte di questo patto trilaterale fra Turchia, ribelli siriani e al Baghdadi, che secondo il sito turco Tavka Haber – vicino ai jihadisti – ha dato in persona l’ordine di restituire gli ostaggi del consolato.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)