John Kerry e il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu (foto Ap)

Profili bassi

Mistero Turchia. Perché sta fuori dalla lega anti Califfato

Daniele Raineri

Rifiuta le basi aeree agli americani, teme le cellule dormienti a Istanbul.

Roma. La Turchia sceglie di restare fuori dalla coalizione anti Stato islamico guidata dagli Stati Uniti. Il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan non ha firmato la dichiarazione di Jeddah – in Arabia Saudita – che ha suggellato l’unione fra Washington e nove stati arabi per combattere il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi e nega agli americani l’uso delle sue basi militari, come già avvenne nel 2003 quando George W. Bush ordinò l’invasione dell’Iraq. Con gli americani c’è anche disaccordo su quali gruppi di ribelli siriani considerare verdi (in codice: ci si può lavorare assieme), gialli (fare attenzione) o rossi (asolutamente no).

 

“Siamo disponibili a missioni di aiuto e umanitarie, non a una collaborazione militare”, è la linea di Ankara. La questione dell’uso delle installazioni militari è particolarmente importante: la Turchia confina con il Califfato, e ha basi aeree a ridosso del confine siriano e di quello iracheno, a pochi chilometri dalle roccaforti dello Stato islamico a Raqqa e a Mosul. Sarebbero utili per le missioni dei droni, per la sorveglianza, per i bombardamenti. A luglio, quando l’Amministrazione Obama ha ordinato un’incursione vicino Raqqa per liberare gli ostaggi americani – tra cui James Foley e Steve Sotloff –  gli elicotteri con le squadre speciali sono state costrette a partire da un secondo paese alleato non specificato, non la Turchia, forse la Giordania.

 

E’ un paradosso della neonata lega anti Califfato: la Turchia, Israele e l’Iran non ne fanno parte (non possono dichiarare di farne parte) ma già stanno facendo la guerra al gruppo di Baghdadi – o stanno collaborando con chi la fa (Israele passa informazioni e l’Iran manda soldati e aerei in Iraq). La Siria, che ha alzato al massimo il livello della retorica antiterrorismo e tanto vorrebbe fare parte di quella lega sotto la guida dell’ex nemico americano e assieme agli arcinemici del Golfo, è stata tenuta fuori.

 

[**Video_box_2**]La ragione di questo profilo basso e del divieto di uso delle basi militari è che la Turchia è la più esposta alle rappresaglie dei jihadisti. A giugno lo Stato islamico ha sequestrato 49 diplomatici turchi, incluso il console generale, durante la conquista di Mosul (Ankara considera la perdita un errore imperdonabile del governo iracheno, che avrebbe dovuto dare l’allarme sull’imminente collasso militare della città). “E’ dura adesso per la Turchia gestire questa situazione – dice l’ex ministro degli Esteri Yasar Yakis – il governo ha le mani legate”. Il governo sta tenendo sull’intera vicenda un ferreo embargo mediatico e non vuole vedere arrivare videomessaggi di uccisioni come è accaduto all’America con i reporter James Foley e Steven Sotloff.

 

La seconda minaccia è quella delle cellule dello Stato islamico dentro la Turchia, anche nell’area metropolitana di Istanbul. Ieri l’edizione europea di Newsweek ha pubblicato un reportage sui giovani sunniti che dai quartieri periferici della città più grande del paese si arruolano nello Stato islamico. I turchi nel gruppo sono circa tremila – su un totale che oscilla “fra i ventimila e i trentunomila”, ha detto ieri il portavoce della Cia. Bunyamin Aygun, un fotografo turco sequestrato per quaranta giorni, condannato a morte e poi fuggito grazie all’arrivo di ribelli moderati, ricorda che i suoi carcerieri erano turchi e insistevano sull’odio che nutrono contro Erdogan, considerato un finto musulmano. “La Turchia ha paura di noi. Possiamo mettere bombe in ogni angolo del paese”.

 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)