Matteo Renzi (foto LaPresse)

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“Tutto si può fare”, anzi “nulla”. Renzi e l'estate dell'Italia irriformabile

Marco Valerio Lo Prete

Il gioco di indiscrezioni e barricate estive. Blocco agli stipendi della Pa, pensioni, lavoro. Ma incombe la manovra.

“Ce n’est pas les médecins qui nous manquent, c’est la médecine”, diceva Montesquieu. In Italia nemmeno il Generale Agosto ha fatto piazza pulita dei medici che pullulano nel nostro paese quando si tratta di approntare riforme economiche (che “ci mancano”). Anzi, i medici di questi tempi aumentano, al punto da far venire il dubbio che l’incredibile numero di levate di scudi, a fronte di pure indiscrezioni spesso smentite dall’esecutivo, abbia soltanto un intento preventivo: che nulla si muova. Anche perché la scadenza della Legge di stabilità s’avvicina, ottobre è il limite per inviarla a Bruxelles per il via libera, e la caccia alle risorse è aperta, considerato che la crescita latita più del previsto e i 16 miliardi di euro di manovra stimati qualche mese fa potrebbero non bastare per rispettare gli impegni di risanamento.

 

Soprattutto se l’esecutivo vorrà mantenere l’impegno di rendere permanente lo sgravio di 80 euro mensili sui redditi più bassi e magari ampliare la platea dei beneficiari. Il governo, in aggiunta, ha rivendicato pubblicamente di avere un’agenda pronta, fatta di decreto sblocca Italia, riforma della giustizia e della scuola, il tutto da approvare prima del vertice di fine mese tra i leader europei. Insomma, non ci sarebbe bisogno di evocare l’arrivo della Troika a Vipiteno per dire che ci sono tante buone ragioni per mettere mano a spesa pubblica e riforme strutturali. Epperò i medici ansiosi non mancano, tutti al capezzale del governo.

 

Ieri, da ultimo, è stata sufficiente una indiscrezione riportata dal Messaggero a far scattare il balletto: “Una delle ipotesi sulla quale si sta lavorando è quella di prorogare per altri due anni il blocco delle retribuzioni del pubblico impiego”. Poco importa che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si trovasse in Iraq per una visita lampo, per dire ai profughi inseguiti dai terroristi dello Stato islamico “non vi lasceremo soli” e per rappresentare l’Ue che in ordine sparso sta rifornendo di armi i curdi che resistono.

 

Nessuno conferma, nessuno smentisce? Ecco allora che risorge il minaccioso formato Trimurti. Cgil, Cisl e Uil, assieme, ieri hanno chiesto a Renzi di smentire, oppure “la reazione delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici sarà fortissima” e “la ripresa dei lavori dopo la pausa estiva avverrà in un clima incandescente”. Avvertimento girato anche al ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, accusata ironicamente di aver annunciato “una ‘epocale’ riforma della Pubblica amministrazione”. Perché l’indiscrezione magari si rivelerà infondata, ma i medici in questione hanno una loro agenda controriformista a 360 gradi. Che include pure le pensioni. Il governo lavora forse a un altro “contributo di solidarietà” (leggi: prelievo) sulle pensioni più alte, chiede il Corriere della Sera? Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, non esclude.

 

Un sottosegretario gaffeur si trova sempre, questa volta tocca al solitamente cauto Pier Paolo Baretta, del Pd: “Chi guadagna fino a 2.000 euro netti di pensione al mese può stare assolutamente tranquillo”. Sottintenso: tutti gli altri, e non sono pochi, stiano un po’ meno tranquilli. Renzi smentisce, ma i medici di cui abbonda il mese d’agosto tornano all’assalto. Vade retro, i diritti acquisiti non si toccano, anche se non si capisce quale sia il diritto acquisito, se il metodo retributivo o quello contributivo. Un ministro in cerca di visibilità, Angelino Alfano del Nuovo centrodestra, si lancia all’assalto dell’articolo 18 minacciando il governo? Renzi smentisce, perfino Maurizio Sacconi (sempre del Nuovo centrodestra) declassa tutto a un penultimatum.

 

Ma ormai è tardi: Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, scrive al Corriere della Sera per mettere in guardia dalla “ideologia del laissez-faire”, “responsabile del disastro economico e sociale del paese”. Il messaggio è recepito, e così, tra i parlamentari della maggioranza che dovranno lavorare al disegno di legge delega sul lavoro, ecco che si fanno sentire quelli che “l’articolo 18 non si tocca”. Il caso ha voluto che l’intemerata camussiana contro il “laissez-faire” arrivasse nello stesso giorno delle comunicazioni della Banca d’Italia sul debito pubblico record. A proposito: qualcuno azzarda operazioni straordinarie sul debito? Non sia mai, dicono a Via XX Settembre. E si capisce. Ma anche autorevoli opinionisti, ex banchieri centrali come Lorenzo Bini Smaghi, stigmatizzano: niente misure straordinarie (anche se di alternative serie non ne propongono). L’esecutivo un piano (reso pubblico) ce l’avrebbe: se le riforme di fine mese andranno in porto, e se nell’Eurozona si rafforzerà la convinzione che la stagnazione è un male comune, Roma potrà ottenere un po’ di flessibilità. Ma “sarebbe sbagliato chiedere più flessibilità”, tuonava ieri Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze con Prodi, D’Alema e Amato: “Bisogna dare battaglia per cambiare la politica economica”. A fronte di mere indiscrezioni riformatrici, c’è sempre ben altro da fare. In agosto.

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