Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi nel paese dei Letta bis

Giuliano Ferrara

Servono le scelte di Giavazzi-Alesina, giù tasse e spese di un terzo. Ma c’è sempre un demagogo a spiegare che non si può incidere sul welfare, o toccare l’art. 18. I cacadubbi su Draghi. La pigrizia senza sofferenza.

Cara Signora Merkel, grazie al suo meno 0,2 per cento le élite italiane hanno festeggiato il Ferragosto, pavoneggiandosi. Tutti, dalla sinistra più ottusa alla destra più becera, con in testa al corteo la società civile, i cattolici e i progressisti di ogni razza e cosca, e pure il duo Berlusconi-Renzi. Sperano di liberarsi di lei, sognano di fare nuovi debiti per mantenere al potere loro e i burocrati-badanti che li ossequiano, e così impoverire noi delle classi lavoratrici, cercando nel frattempo di sedarci con chiacchiere e promesse senza senso. Temo che anche il bonzo di Francoforte frema per buttare nella fornace altri 1.000 mld? (quattrini dei nostri nipoti). Ho lanciato un tweet: “7-25-50: guardiamoci allo specchio, e diamoci una regolata”. Come possiamo noi, il 7 per cento della popolazione mondiale, pensare di continuare a produrre il 25 per cento del pil, e pure consumare il 50 per cento del welfare? E senza uno straccio di strategia, se non proseguire con un modello, in teoria corretto, ma osceno nell’applicazione? Signora, resista: le donne sono un incentivo per il futuro, lei lo è. Rispettosamente, l’abbraccio,
Riccardo Ruggeri

 

Non sono un catastrofista in economia. Anzi, sono un leggerone. Però la proposta di Alesina e Giavazzi fa pensare che c’è bisogno di scelte radicali, responsabili, e che il tempo fugge. I due economisti dicono che si deve ridurre la spesa del 30 per cento, e le tasse, in particolare su lavoro e impresa, di un altro trenta per cento. Se il saldo fosse negativo per le finanze pubbliche, a quel punto, magari con efficaci riforme del lavoro e della giustizia amministrativa, non sarebbe una tragedia sforare il limite del 3 per cento di deficit previsto da Maastricht, come molti altri paesi europei (meno indebitati ma afflitti da stagnazione) già fanno. Semplice, in apparenza, ma molto complesso.

 

Viviamo in un paese strano. La patria del commento, dell’opinione, della previsione, del consuntivo permanente e controverso, dell’eterna ripetizione dell’identico. A sentire tante voci, nulla si può fare. Non si può colpire il ceto medio con prelievi straordinari. Non si può ristrutturare il debito senza conseguenze cataclismatiche, se pure impegnando beni pubblici a garanzia o con altre soluzioni. Non si può ricontrattare il Fiscal compact a Bruxelles, nessuna trattativa in corso, ne è certo anche il governo secondo un comunicato di ieri. Sopra tutto, non si può incidere sul welfare. Non si possono torcere le budella agli enti locali territoriali e alle Regioni, come sarebbe doveroso. Non si può toccare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, frase da taumaturghi.

 

Gli esperti contano sempre molto sull’evasione fiscale da ridurre entro una media europea, ma è da vedersi, visto che le diverse campagne di dissuasione o di persuasione non hanno prodotto risultati decisivi, e c’è sempre un demagogo pronto a spiegare che il problema è ben altro. Altri esperti ripetono la vecchia solfa della limatura delle spese improduttive, la riduzione della spesa ministeriale con il triccheballacche del risparmio sulle forniture e sulle matite, già sentita (ma guai se dici di fare come al privato San Raffaele del compianto professor Rotelli, tagliare le forniture sanitarie, prendere o lasciare, e i fornitori prendono). Non si può rinunciare alla sovranità, dicono altri ancora, come se ce ne fosse una e chiara oggi nel sistema integrato eurobancario, e ci trastulliamo con il quesito: abbiamo fatto bene a evitare la Troika o avremmo fatto meglio a farci un po’ salvare come la Spagna, il Portogallo e la Grecia? Non si può poi pretendere che Mario Draghi alla Banca centrale di Francoforte si comporti come la Fed americana o la BoJ di Tokyo o come la Banca d’Inghilterra, c’è la Bundesbank che controlla e proibisce, già è stato tanto dirsi disponibili a fermare la speculazione di mercato whatever it takes, a tutti i costi.

 

L’idea corrente non dichiarata, che risulta da tutti questi non possumus, è che il governo Renzi, e speriamo non sia anche l’idea di Renzi e del ministro dell’Economia Padoan, debba tergiversare, travestendosi da governo Letta bis. Il premier ha avuto consenso decisivo alle elezioni europee, si è detto deciso a farlo valere a Bruxelles e nel suo paese, ha visto Draghi e Napolitano e ha stabilito un’intesa di fondo, a quanto sembra; si è visto che con Angela Merkel è in grado di trattare, con quali risultati ancora non è noto, e il futuro capo operativo della Commissione dell’Unione, Jean-Claude Juncker, è stato eletto sulla base di una opzione generica ma pubblicamente rilevabile in favore della famosa flessibilità, e con la missione di favorire lo sviluppo economico e produttivo. A questo punto, ecco, potrebbe non succedere alcunché. Un Consiglio europeo informale a fine agosto, un ruolo di leadership verbale della presidenza italiana, qualche riforma annunciata e qualcun’altra fatta a metà, nuove messe in guardia contro gufi e rosiconi, nessun accordo quantificato di revisione del Fiscal compact, nessuna decisione che conti per davvero nelle nostre vite e in quelle delle generazioni a venire e, in una formula, una nuova grande occasione sprecata “pavoneggiandosi”.

 

Riccardo Ruggeri, che citiamo in esergo con notevole godimento estetico, è forse troppo severo, è impolitico beato lui, va al sodo, fa della diffidenza un sonoro sberleffo, ma è autorevole abbastanza, e disinvolto e indipendente, da dire implicitamente la cosa che importa e che a noi, più creduloni di lui, meno indipendenti dalle regole e dai contenuti della lotta politica, sta a cuore. Servono scelte radicali. Il nemico della crescita e della ripresa non è l’austerità nella finanza pubblica, è la pretesa di cavarsela senza colpo ferire e senza soffrire. Facendo quel nulla che è costitutivo della chiacchiera euro-occidentale del momento.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.