Il premier Matteo Renzi (Foto Lapresse)

Le forbici sui “diritti acquisiti”? Cosa spinge (e cosa frena) il Rottamatore

Francesco Galietti

Fino ad ora, l’impressione è che il governo non abbia un disegno organico, ma di certo il taglio delle pensioni appare più gettonato dai renziani di quanto non lo sia quello delle regioni e autonomie locali.

Da giorni ormai, di fronte alle ripetute conferme di una ripresa anemica, si sprecano le ipotesi sulle scelte in materia di conti pubblici. Fin qui il governo da un lato ha lasciato intendere di intravedere spiragli per un differimento degli obiettivi di riduzione del debito pubblico previsti dal Fiscal compact. Dall’altro lato, il governo ha respinto con vigore gli scenari di sforamento sui parametri del Patto di stabilità e crescita, arrivando addirittura a censurare con un comunicato stampa senza precedenti il sottosegretario all’economia Enrico Zanetti, colpevole di aver menzionato (pur escludendolo) lo sforamento del limite del 3 per cento. A parole, Matteo Renzi sembra avallare l’idea di una manovra autunnale fondata quasi esclusivamente sui tagli alla spesa pubblica, che fa propri e addirittura anticipa gli ambiziosi obiettivi di risparmio previsti dalla dieta Cottarelli per il triennio 2014-2016 ed ereditati dalla gestione Letta.

 

Al tempo stesso, ha preso a circolare con crescente insistenza l’idea di una sforbiciata alle pensioni più elevate e maggiormente risalenti nel tempo. L’ipotesi è corroborata in particolare dalle non-smentite del ministro del Welfare Poletti, e dal consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld. Per il vero altri esponenti del governo, come il sottosegretario Rughetti, stigmatizzano apertamente l’effetto depressivo di un intervento sulle pensioni. Fino ad ora, l’impressione è che il governo non abbia un disegno organico, ma di certo a comporre il mosaico delle dichiarazioni governative le pensioni appaiono più gettonate dai renziani di quanto non siano regioni e autonomie locali. E ciò nonostante la spesa corrente al netto di quella sanitaria delle regioni sia addirittura cresciuta di quasi sette punti percentuali negli ultimi tre anni.

 

Le pensioni costituiscono uno degli elementi che la Ragioneria generale dello stato è solita definire come spesa “incomprimibile”, la quale designa il delicato ambito dei diritti acquisiti. Se anche questo sancta sanctorum è al centro di ipotesi di riduzione, è segno che qualcosa è cambiato? Sul piano generale, è innegabile che la maggior parte dei welfare state europei scricchioli sotto il peso di una demografia senescente. Vale il motto di Angela Merkel: “Se oggi l’Unione europea, che racchiude solo il 7 per cento della popolazione mondiale e il 25 per cento del pil, contro il 50 per cento della spesa mondiale sul welfare, vuole mantenere lo stesso stile di vita dei suoi abitanti, dovrà darsi molto da fare”. Venendo al caso italiano, dalle sforbiciate alle pensioni “alte” al “conflitto generazionale” il passo appare breve. Con quale altra espressione si potrebbe infatti definire l’abisso che separa la generazione dei baby boomers da quelle nate dopo gli anni 70 del secolo scorso? Secondo uno studio di ricercatori della Banca d’Italia e dell’Università di Verona di inizio 2013, “Consolidamento della finanza pubblica ed equità tra le generazioni: il caso dell'Italia”, un 43enne italiano pagherà nel corso della sua vita il 50 per cento in più di tasse e contributi rispetto a quanto, in tutto, sborsa chi oggi ha 61 anni. Basti considerare che l’aliquota marginale per un reddito di 30mila euro era del 25 per cento vent’anni fa ed è del 38 per cento oggi. A questo va aggiunto il peso dei contributi, notevolmente aumentato con il passaggio del sistema previdenziale da retributivo a quello contributivo. Le nuove leve, dunque, sono meno ricche, pagano più tasse sui redditi (anche quando i contribuenti appartengono alle fasce meno fortunate) e ricevono meno pensioni di quelle che le hanno precedute.

 

E tuttavia il premier-Rottamatore, che della denuncia dei privilegi delle vecchie generazioni a scapito dei più giovani ha fatto una bandiera, sul tema non si avventura. Non sono del tutto chiare le ragioni del suo silenzio. Forse per calcolo politico: Renzi potrebbe non essere certo di spuntarla in Parlamento su un tema così delicato. O forse perché è ancora fresca la sentenza 116/2013 con cui la Corte Costituzionale ha cancellato il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro introdotto nell’estate 2011 dal governo Berlusconi e poi confermato dal governo Monti? Sta di fatto che oggi anche gli “incomprimibili” non possono dirsi del tutto sereni. Dopotutto, a chi impugna il martello della spending review molte voci appaiono chiodi, anche se sulla spesa delle Regioni finora prevale lo strabismo.