Fare fuoco

Francesca Pellas

La recensione del libro di Daniele Garbuglia, Sem, 250 pp., 16 euro

La vita, in una piccola cellula periferica delle Brigate Rosse, si vive senza guardare: non c’è alternativa all’agire. Pura azione. Orlando l’ha capito ancora prima di iniziare. Questa consapevolezza profonda gli è scesa addosso sul treno che in una notte d’estate l’ha portato dal suo paese affacciato sull’Adriatico a una grande città del nord di cui dice solo l’iniziale: T. La capitale della grande fabbrica.

 

Rimanere in provincia, rimanere fuori, con le sue idee non si poteva fare. Lui sentiva di doversi mettere a disposizione di qualcosa di più grande, di un bene superiore, e poco importa se tra il desiderio e la sua realizzazione ci sarebbe stata solo violenza: la violenza era un mezzo come un altro. Pura azione. Così Orlando, quando ancora non si chiamava Orlando, ha preso quel treno, abbandonato il fuori, ed è arrivato alla vita di dentro, alla cellula viva. Fare fuoco di Daniele Garbuglia (Sem) è l’ottimo racconto di come la percezione urgente di un ideale possa portare ad autosegregarsi in una quotidianità cieca, che sfarfalla come le immagini su una televisione a un passo dalla rottura definitiva (Garbuglia ci comunica questo sfarfallio anche attraverso l’alternanza dell’occhio che segue Orlando: i capitoli in terza e in seconda persona).

 

Fare fuoco è un romanzo che racconta la scelta di un ragazzo molto giovane, il suo votarsi a cambiare il mondo e il suo essere disposto a tutto per farlo (“Dovevate vincere perché le vostre idee erano giuste e, anche se eravate in pochi, con le vostre azioni avreste convinto gli operai, e con loro le famiglie, fino a sconvolgere e sovvertire l’intera società”). Nella cellula sono in tre: lui, il Rosso e Anita. Estranei che si conoscono solo attraverso i nomi di battaglia che si sono dati. Siamo negli anni finali della lotta armata, poco dopo il rapimento Moro: le cose stanno andando lentamente a rotoli e, tra i “compagni che hanno sbagliato”, i più giovani sono i più decisi, ma i meno informati e forse anche i più spaventati.

  

Con Anita e il Rosso mettono a segno tre attentati. Ogni volta fanno colazione, si travestono, escono dal covo dove vivono come coinquilini e, lungo due o spesso tre tragitti diversi, raggiungono il luogo dell’azione. Non devono uccidere, ma gambizzare. A fare paura a Orlando sono sempre le urla: non se le aspetta, sono bestiali, non umane; così non ne ha mai sentite. Le macchie di sangue si compongono in forme strane che sembrano piccoli continenti, come i continenti che nella sua testa e nelle sue speranze riusciranno un giorno a liberare. Le cose però vanno diversamente. Quando l’ultimo attentato finisce male, rimane solo la paura. Che cosa succederà se saranno catturati? Saranno capaci di resistere alle torture, di non parlare, di non vendere i compagni? La vita ci pensa prima di loro e ci pensa forte. In tutto questo, molto prima che fosse troppo tardi, Orlando quasi ogni giorno si faceva anche un’altra domanda, tra una sigaretta e l’altra: e se fossi ancora in tempo per fuggire in silenzio, per prendere l’ultimo treno della notte e tornare nella mia città di mare? 

   

FARE FUOCO

Daniele Garbuglia, Sem, 250 pp., 16 euro

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