Un viaggio italiano

Roberto Paglialonga

La recensione del libro di Philipp Blom, Marsilio, 320 pp., 19 euro

Dio solo sa quanto l’Europa abbia bisogno di (ri)trovare la propria identità. Non tanto quella che si cela in piani economici e finanziari condivisi, oggi molto discussi, pur utili e necessari. Ma non bastevoli. Quanto quella che si riconosce in una comunità con le sue solide radici – vogliamo chiamarle basi, pilastri, fili conduttori – culturali, sociali, religiose, antropologiche. Philipp Blom, storico, giornalista e scrittore germanico nato nell’anseatica Amburgo, formatosi poi a Vienna e Oxford, già famoso nel nostro paese soprattutto per Il primo inverno: la piccola era glaciale e l’inizio della modernità europea (1570-1700), sembra – in questo Viaggio italiano, pubblicato da Marsilio – un novello Pollicino, che mette insieme tanti pezzettini di pane compiendo un Grand Tour d’altri tempi sul suolo del Vecchio continente. Là dove si è costruita e sedimentata l’anima dell’occidente.

 

E per vero, questo viaggio bisognerebbe proprio definirlo europeo, perché rimbalza tra la Baviera, L’Aia, Londra, Vienna, Parigi, Venezia – quanta Venezia, ammaliante e traditrice! – attraverso i commerci, le costruzioni urbane, l’arte, le dispute religiose e le guerre fratricide, come quella dei Trent’anni, e soprattutto la musica. A caccia di un liutaio misterioso, nato nella cittadina di Füssen, in Algovia, poi trasferitosi in Laguna per lavorare a bottega, colpevole di aver costruito un violino bellissimo, rimasto però alla fine senza paternità, di cui Blom, musicofilo appassionato, entra fortuitamente in possesso.

 

“Una domanda, un contatto fisico, un incontro” accendono la miccia di un amore, che trascende tempo e spazio. Allora, la caccia all’uomo per scoprire l’identità dello strumento diviene la ricognizione di una storia collettiva, nella quale entrano le vicende personali e familiari dell’autore e quelle pubbliche dei geni che hanno “fatto” l’Europa. Senza firma di normative o trattati, ma grazie a pensieri e parole messi nero su bianco, e note di musiche celestiali senza le quali non saremmo ciò che siamo: Vivaldi, Bach, Mozart, Casanova, Diderot. E la grande storia si intreccia a quella microcosmica, eppure indispensabile a ogni disegno provvidenziale, di un’umanità anonima vissuta in quello spicchio temporale tra Seicento e Settecento: artigiani, mercanti, girovaghi, artisti al soldo di padroni più o meno illustri, cortigiani, dame castigate o disinibite, giovani in cerca di fortuna. Un vero giallo storico, che parte da ipotesi e indizi, e si snoda sullo studio di documenti di archivio, interviste, perizie scientifiche, forbito e ricco di dettagli e piacevoli digressioni, che aprono squarci su un passato che oggi sembra ritornare: il cambiamento climatico dei primi del Seicento, il contagio della peste, gli albori della globalizzazione.

 

Eccolo, allora, il viaggio. Ricercare un’identità per ritrovare una paternità nella quale potersi finalmente compiere come figli. Quella del violino potrà, con struggimento, rimanere sconosciuta. Mancare la propria vuol dire forse perdersi in una “danza macabra” col destino, e sprecare il proprio posto nel mondo.

 

UN VIAGGIO ITALIANO: STORIA DI UNA PASSIONE NELL'EUROPA DEL SETTECENTO

Philipp Blom,

Marsilio, 320 pp., 19 euro

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