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Indagine su Aldo Moro

Lorenzo Marini

Un libro sulle lettere e sul memoriale prova a mettere in ordine il flusso di pensieri del presidente della Democrazia cristiana

Roma. Quanto la vicenda di Aldo Moro appassioni ancora gli italiani lo si è potuto vedere in queste due ultime settimane, a Roma, dove dal 18 al 23 febbraio Fabrizio Gifuni ha portato in scena, al Teatro Vascello, “Con il vostro irridente silenzio”, testo in cui l’attore legge le carte di Moro. Si tratta delle lettere conosciute e del memoriale, ovvero lo scritto con cui il presidente della Dc risponde all’interrogatorio dei suoi sequestratori e ripercorre i punti salienti della sua attività politica e della storia d’Italia, riservando parole durissime nei confronti dei suoi compagni di partito, specialmente su Giulio Andreotti. Memoriale che, ricordiamo, fu ritrovato nel covo milanese di via Monte Nevoso in due momenti diversi: quando il covo venne scoperto, nell’ottobre del 1978, fu rinvenuta una prima parte (49 pagine dattiloscritte), ma il grosso, 421 pagine nascoste dietro un’intercapedine, venne alla luce solo nell’ottobre 1990, durante i lavori di ristrutturazione dell’appartamento. Quelle rinvenute erano solo delle fotocopie del manoscritto e a tutt’oggi mancano gli originali.

 

Uno spettacolo, quello di Gifuni, sold out tutte le sere. Intenso ed emozionante, ma pure di grande fatica fisica visto che l’attore legge e interpreta gli scritti di Moro senza interruzione per quasi due ore. Strapiena era pure, martedì 25, la magnifica Sala Alessandrina dell’Archivio di stato a Sant’Ivo alla Sapienza, dove è stato presentato “Il Memoriale di Aldo Moro (1978). Edizione critica”. Il volume (596 pagine), uscito a novembre, è preziosissimo perché contiene la prima edizione critica del memoriale, frutto di 5 anni di lavoro di un gruppo coordinato da Michele Di Sivo e che ha visto impegnati storici, archivisti e grafologi. “Non ci aspettavamo così tanta gente”, ha detto Marco Damilano, moderatore dell’incontro, rammaricandosi per le persone rimaste in piedi. C’era anche Gifuni, che ha catturato il pubblico riproponendo alcune letture.

 

Ma cosa ci dice in più su Moro quest’edizione del Memoriale? Innanzitutto permette, grazie al rigore scientifico della ricostruzione delle parole di Moro e all’esame dei grafologi, di collocare nel tempo le lettere e le parti del memoriale senza data. Permette così di “agganciare” il memoriale alle lettere, così da “avere un flusso di pensiero continuo e coerente”, spiega Di Sivo. Ma consente anche di affrontare i tanti rebus del caso Moro con qualche elemento in più. Per esempio c’è un momento, nelle lettere, in cui Moro spinge in modo frenetico per la trattativa, dando indicazioni ai suoi collaboratori. “Chiama tizio… Contatta Caio…”. E questo avviene nei giorni successivi al 15 aprile, quando le Br gli comunicano la decisione della condanna a morte.

 

Nelle ultime pagine del Memoriale, che risalgono probabilmente ai primi giorni di maggio, Moro invece ringrazia le Br “per la grazia che mi hanno fatto di rendermi libero”. In quel momento, dunque, Moro pensa di avere salva la vita. Tesi confermata anche dall’annuncio di lasciare la Dc. “Mi dimetto da tutte le cariche… rinuncio fin da ora a future candidature… chiedo al presidente della Camera l’iscrizione al gruppo misto…”, scrive Moro. Come se la sua vita avesse un futuro. “Moro dice di volere lasciare la Dc, non la politica”, osserva Miguel Gotor, uno degli storici (ex senatore di Pd e Articolo 1) che ha collaborato all’edizione. Da qui si potrebbe supporre che la lettera di addio alla moglie, consegnata il 5 maggio ma senza data, possa essere stata scritta in precedenza. Insomma, è un lavoro che, se non scioglie gli enigmi del caso Moro, è un fondamentale strumento di lavoro.

 

Per un corretto approccio alla vicenda, ha sottolineato Gotor, non bisogna però dimenticare che “Moro non fu ucciso da Benigno Zaccagnini, ma dalle Brigate rosse”. In secondo luogo, “anche se nel pieno delle sue facoltà mentali e libero di scrivere, Moro scriveva in un regime di costrizione e di prigionia, e questo non poteva non incidere sul contenuto e sulla forma delle sue parole, che sono un saggio di scrittura dissimulata”. Infine, “il rapimento va contestualizzato all’interno di un quadro internazionale: non solo la Guerra fredda, ma anche lo scontro sulle politiche energetiche in medio oriente”. Nella Sala Alessandrina, tra i documenti esposti, ci sono le lettere originali scritte a penna, come la prima a Francesco Cossiga e l’ultima alla moglie Eleonora. “Se ci fosse luce sarebbe bellissimo”.

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