Giorgio Gaber (Ansa)

uffa!

Quant'è difficile essere di parte se non sai più qual è la tua parte

Giampiero Mughini

Destra o sinistra? Sono divenute definizioni vuote. O forse lo sono divenute per me perché più passa il tempo e più mi accorgo di non sapere nulla di nulla di quello che noi tutti stiamo diventando in questo dannatissimo terzo millennio

Premetto che mai un solo momento della mia vita mi sono sentito un giornalista, il mestiere che è stato quello di un fuoriclasse quale Andrea Purgatori e lo dico senza mai avere avuto il piacere di conoscerlo. Quando mi chiedono quattro righe a raccontare la mia biografia, scrivo di solito che per un certo periodo della mia vita ho tratto il mio pane dal lavoro nelle redazioni dei giornali. Dove però mi interessavano sino a un certo punto i fatti che accadevano giorno dopo giorno. Perché una notizia valesse ai miei occhi la pena essere affrontata, occorreva che fosse maturata per una se non per due settimane: solo a quel punto andava ragionata, raccontata, vivisezionata.

 

Ammiro quei giornalisti italiani – uomini e donne – che a Kyiv o a Odessa e a rischio della loro vita raccontano giorno per giorno i soldati ucraini che avanzano, che si difendono, che muoiono. Loro sì giornalisti. Se mi volto indietro e penso ai trent’anni in cui ho avuto uno stipendio dai giornali, quel che mi viene in mente sono le diciotto ore che in quattro o cinque differenti occasioni ho trascorso nella casa torinese di Norberto Bobbio, lassù al quinto piano di via Sacchi. Lui seduto su una poltrona, io dirimpetto a lui su un divano. Entrambi a ragionare su fatti accaduti magari quarant’anni prima, tipo l’assassinio di Giovanni Gentile da parte di gappisti comunisti nella Firenze dell’aprile 1944. Ed erano talmente intense quelle nostre conversazioni che mai una volta in quelle diciotto ore furono interrotte da una sorsata d’acqua. Mi chiedo quanti siano oggi i lettori cui importi di come e da chi venne ucciso Gentile, e tanto per dirne una.

  

Così pure confesso di ammirare ma di non invidiare gli amici che ogni giorno devono mettere per iscritto qualcosa ad afferrare l’attenzione dei loro lettori, Mattia Feltri che ogni giorno che Dio manda in terra deve scrivere quei suoi deliziosi “buongiorno” sulla prima pagina della Stampa; Aldo Cazzullo che ogni giorno o quasi riempie paginate del Corriere della Sera con magistrali interviste ai personaggi ogni volta i più diversi e i più contrastanti; Francesco Merlo che ogni mattina tira sganassoni micidiali a destra e a manca nel rispondere ai lettori della Repubblica che lo stuzzicano sull’uno o sull’altro personaggio. E tanto più che quando scrivi su un giornale devi prendere posizione, devi essere “di parte”, lo devi conciare a meraviglia il tipaccio di cui stai parlando. Ebbene c’è che io non so più prendere posizione, non so più essere “di parte” e questo perché non so più qual è la mia parte. Destra o sinistra? Sono divenute definizioni vuote. O forse lo sono divenute per me perché più passa il tempo e più mi accorgo di non sapere nulla di nulla di quello che noi tutti stiamo diventando in questo dannatissimo terzo millennio. Sì o no il calo demografico è tale che fra trenta o quarant’anni l’Italia avrà in Europa il rilievo più o meno del Lussemburgo? Sì o no lo sviluppo tecnologico a base di intelligenza artificiale annienterà alla radice interi settori di lavoro dipendente? Sì o no un paese deve comunque fornire un reddito di sussistenza ai tanti che sono rimasti al gradino più basso della scala sociale e reddituale? Sì o no noi che avevamo vent’anni nei Sessanta abbiamo inondato le generazioni future di discorsi in cui erano infiniti e lampanti i diritti di cui godere e invece era a dir poco opaca l’indicazione delle responsabilità del vivere in comune, i limiti oltre i quali quei diritti non possono essere goduti e questo in tutti i campi del vivere? Vi sto annoiando? Spero di no.

   

Ecco perché mi è difficile essere “di parte” nell’affrontare questo filo spinato di questioni dolorose e intricatissime. E difatti quando comincio un articolo non so come esattamente lo finirò. Non provo nessun gusto a prendere a sganassoni qualcuno di cui non condivido l’attuale latitudine politica o quella che passa per tale. Si tratti di Matteo Renzi, di Giorgia Meloni, di Elly Schlein, ma anche di Ignazio La Russa, gli attori della nostra scena politica non li dipingo più tutti quanti di un compatto color bianco o di un compatto color nero. Né li maledico né li applaudo: mi interessano le loro contraddizioni, le eventuali loro ambiguità. Non ho più alcun interesse alla lotta dei partiti in quanto tale, al fatto che 24 ore al giorno gli uni tirino dei calci negli stinchi ai loro avversari. Allibisco nel trovarmi accanto in tv politici di professione che di ogni loro discorso fanno un comizio anziché un’analisi del recto e del verso di ciascuna situazione e di ciascun problema.

  

E senza dimenticare, se vogliamo stare al reale com’è e non come vorremmo che fosse, che le parole che cerchiamo di scegliere accuratamente, le righe che cerchiamo di cesellare al meglio se ne vanno in giro per poi essere raccolte ahimè da un pubblico che al 35 per cento è formato da analfabeti di ritorno che non sono in grado di decrittare l’editoriale di prima pagina di un quotidiano; che l’Italia è terz’ultima in Europa quanto all’acquisto di libri; che via internet e via social più le spari grosse più ti fai notare e più like prendi. Da cui i saliscendi di un elettorato che ogni volta rischia di premiare le cialtronate. Sono le falle della democrazia. Avete dimenticato quelle recenti elezioni in cui i 5 stelle conquistarono il 32 per cento del consenso elettorale, più o meno quello che era riuscito una volta a Enrico Berlinguer, tre volte quello che stentava a guadagnarsi ogni volta un gigante politico quale Bettino Craxi. I social i social i social, la rete fognaria più imponente d’Italia. Sì o no esistono e purtroppo imperversano quelle chiazze giovanili che Alain Elkann ha descritto poco teneramente in un articolo a causa del quale poco è mancato che quelli del comitato di redazione di Repubblica lo mettessero in piedi innanzi al fatale muretto di Dongo ad aspettare la scarica?

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