"Esterno notte" di Marco Bellocchio, con Fabrizio Gifuni nei panni di Aldo Moro 

uffa!

L'assassinio di Aldo Moro e quella canzone di Giorgio Gaber fatto Dio

Giampiero Mughini

"Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia cristiana / è il responsabile maggiore / di vent’anni di cancrena italiana”? Le parole sono del mitico cantante. Possibile si annidino anche qui i germi della malattia ideologica delle Br?

A pochi mesi dall’assassinio di Aldo Moro, Leonardo Sciascia scrisse che di tutti i leader democristiani era il meno “coinvolto di tutti”. E voleva dire il meno coinvolto nelle nefandezze di cui la sinistra accusava quella Dc che il 18 aprile 1948 aveva evitato all’Italia la sorte tragica toccata ai paesi europei dove i comunisti andarono al potere nell’immediato Dopoguerra. E con tutto questo Aldo Moro era il più democristiano di tutti, un cattolico democratico che sempre cercava la mediazione, i punti di contatto tra forze politiche pur opposte e diverse tra loro. Era stato lui a volere l’incontro con i socialisti di Pietro Nenni ai tempi del primissimo centrosinistra. Ancora lui quello che aspirava a un possibile dialogo con il Pci berlingueriano nel marzo 1978 in cui i brigatisti massacrarono la sua scorta per poi mitragliarlo a freddo mentre se ne stava rannicchiato nel bagagliaio di una Renault rossa. “Il Pci è un partito d’ordine come lo siamo noi”, mormora lo strepitoso Fabrizio Gifuni, l’attore che impersona Moro nell’“Esterno notte” di Marco Bellocchio appena passato sugli schermi di Rai1. Altro che “pazzo”, come ebbe l’impudenza di scrivere qualcuno, Moro era perfettamente in linea con l’identità democristiana quando dall’antro dove le Br lo reclusero per 53 giorni chiedeva che venisse pagato un prezzo per la sua vita. Magari uno scambio di prigionieri com’è avvenuto in tutte le guerre del mondo e come avvenne ripetutamente durante la guerra civile italiana del 1943-1945. Un possibile scambio di prigionieri è il nervo portante del più bel romanzo su quegli anni, “Una questione privata” di Beppe Fenoglio.

Di tutte le storie italiane dell’ultimo mezzo secolo il ratto e il martirio di Moro è quella che più delle altre trafigge la nostra memoria. Ne ricordo a puntino ogni istante. Alla mattina del 13 marzo 1978 stavo in piedi su un autobus quando qualcuno accanto a me mormorò che cosa era appena successo a via Fani, e subito qualcun altro – lo ricordo perfettamente – disse che era ben venuto il momento che qualcuno dei leader democristiani pagasse di persona. Il 9 maggio 1978 abitavo ancora nella prima mia casa romana, a via Trinità dei Pellegrini, quando sotto le finestre di casa passò un’auto da dove un giovane comunista con il megafono annunciava che era stato appena trovato il cadavere di Moro. Era il primo pomeriggio e a casa mia era venuta a pranzo Anna, la ragazza con la quale avevo diviso i miei primi anni romani. Da casa mia a via Caetani (dov’era stato trovato il cadavere di Moro) ci volevano quindici  minuti a piedi, e a via Caetani io e Anna ci andammo subito senza dirci una parola perché di parole possibili non ce ne erano. Il caso (che è intelligente) ha voluto che una ventina d’anni dopo io diventassi amico di Valerio Morucci, il brigatista che aveva guidato la Renault rossa e che nel corso di quei vent’anni aveva completamente arrovesciato le sue posizioni sino a diventare uno che rinnegava completamente il se stesso del marzo 1978. Lui e Adriana (Faranda), anche lei divenuta una mia amica, si erano opposti alla decisione del gruppo dirigente delle Br di eseguire la condanna a morte. Valerio mi ha raccontato di un loro ultimo incontro a Piazza Barberini  con il capo delle Br, Mario Moretti (quello che scaricherà il fucile mitragliatore su Moro). Dopo di che lui e la Faranda uscirono dalle Br. Alcuni brigatisti  deciso di ammazzarli, al che Moretti si oppose. Lo stesso Moretti, a giudicare dal libro/intervista con Rossana Rossanda, è oggi tutt’altra persona che non l’assassino del maggio 1978. Del resto è stato lui in quel libro a confessare di avere ucciso Moro, ciò di cui si era dapprima addossato la responsabilità un altro dei brigatisti di via Fani, Prospero Gallinari. 

E a proposito del Moretti prima maniera, del Moretti capo di una banda di delinquenti, del Moretti assassino, ho sempre pensato a un’idea teatrale molto semplice. Due uomini seduti l’uno di fronte all’altro, l’ex studente dell’istituto tecnico e adesso capo brigatista che interroga e punta il dito accusatore, di fronte a un uomo che non si rade da tempo, uno che da settimane vive nello spazio fatto da un letto e da un comodino. L’uno poco più che semianalfabeta a giudicare dal linguaggio usato dalle Br nei loro comunicati, l’altro un politico adusato e raffinato che non ha nulla del fanatico. Ve lo immaginate un dialogo tra due personaggi siffatti? E ove fosse stato possibile, quanti secondo voi sarebbero stati dalla parte di quello che interrogava e accusava? Uno, nessuno, centomila?

Ebbene sono rimasto di sasso nel leggere l’intelligente libro che Andrea Scanzi ha dedicato a Giorgio Gaber (“E pensare che c’era Giorgio Gaber”, PaperFirst, 2022) e trovarvi il testo di un suo disco e di una sua canzone del 1980, “S’io fossi Dio”. Premetto che adoro Gaber esattamente quanto lo adora Scanzi, e che la canzone di cui sto dicendo è assolutamente gaberiana per piglio testuale e musicale, e che sarebbe da idioti valutarne il contenuto allo stesso modo in cui valutare l’eventuale editoriale di un giornale dell’estrema sinistra. Epperò non è una sensazione da niente il trovarvi parole che Gaber fatto Dio cantava così: “Gli fa rabbia chi spara/ Gli fa anche rabbia il fatto che un politico qualunque/ Se gli ha sparato un brigatista/ Diventa l’unico statista / Io se fossi Dio / […] C’avrei ancora il coraggio di continuare a dire / Che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia cristiana/ è il responsabile maggiore / Di vent’anni di cancrena italiana”. Mentre scrivevano questi versi, o meglio queste idiozie da quattro soldi, che cosa pensavano Gaber e il suo paroliere Sandro Luporini, due personaggi da me venerati? Possibile che i germi della malattia ideologica da cui nacque il terrorismo rosso fossero arrivati a infettare la loro intelligenza?

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