Curzio Malaparte (LaPresse) 

uffa!

Curzio Malaparte, il “maledetto toscano” che fu tutto e il contrario di tutto

Giampiero Mughini

Tutta la sua vita inventerà alla grande, tanto nei romanzi quanto nelle corrispondenze giornalistiche. “Non importa che sia vero, importa che sia arte”. Autodefinitosi "fascista nato", poi mandato al confino, e infine innamorato del comunismo cinese

Quando leggo un qualche libro dove trovo un riferimento a Curzio Malaparte, subito mi chiedo se avrò a che fare con una sua porcata o con un suo colpo di genio o con qualcosa che sta a metà strada fra le due latitudini, da lui entrambe frequentatissime. Esattamente quel che mi è successo mentre stavo leggendo “Scritto sull’acqua”, il secondo dei tre libri autobiografici che il giornalista/scrittore catanese Concetto Pettinato (nato nel 1886, morto nel 1975) pubblicò negli anni del suo crepuscolo umano e professionale. Nel 1929, quando Malaparte (nato nel 1898) venne nominato direttore della Stampa, Pettinato lavorava come corrispondente del quotidiano torinese. Tra i due i rapporti furono cordiali. Solo che quando Malaparte si allontanò dalla redazione per fare un suo giro in Europa dalle cui capitali le più remote mandava articolesse di gran rilievo, Pettinato commisurò le date delle varie corrispondenze e ritenne fosse impossibile che molte di quelle corrispondenze provenissero dalle città dove Malaparte affermava di essere stato. Erano delle corrispondenze inventate. Inventate bene. Tutta la sua vita Malaparte inventerà alla grande, tanto in un romanzo come “Kaputt” quanto in corrispondenze giornalistiche come quelle di cui è tessuto il bellissimo “Il Volga nasce in Europa”, il libro pubblicato da Bompiani nel 1943 dove Malaparte scriveva che avere la meglio sui soldati russi che difendevano la loro terra sarebbe stato pressoché impossibile. “Ma è vero quello che lei scrive?”, gli chiedevano. “Non importa che sia vero, importa che sia arte”, rispondeva. E quanto al rango della sua letteratura, non è un caso che a rieditare la folta bibliografia malapartiana ci si sia messa Adelphi, la casa editrice italiana che trasforma in oro tutto quello che tocca.

 

Durante la sua vita Malaparte era stato tutto e il contrario di tutto. Da giovanissimo era stato un volontario della Prima Guerra Mondiale, su cui pubblicherà un libro dal titolo scandalizzante, “Viva Caporetto”, immediatamente sequestrato e che lui ripubblicherà a sue spese con un nuovo titolo, “La rivolta dei santi maledetti”. C’era anche lui tra quelli che marciarono su Roma nell’ottobre del 1922, e del resto si autodefiniva “un fascista nato” in una lettera a Piero Gobetti, un antifascista integrale che gli era amico. Salvo poi essere mandato al confino per un paio d’anni da un Benito Mussolini cui stava rompendo i coglioni. Nel secondo Dopoguerra chiese insistentemente la tessera del Pci senza mai averla, e comunque Palmiro Togliatti andò a fargli visita nell’ospedale in cui Malaparte stava agonizzando a causa del tumore ai polmoni che lo ucciderà a 59 anni, per poi uscire da quel colloquio dicendo di avere parlato con uno degli uomini più intelligenti mai incontrati. Malaparte morirà da innamorato del comunismo reale cinese, di cui non sapeva nulla se non quello che gli avevano raccontato i suoi furbissimi ospiti quando era stato in visita in Cina. Ai cinesi aveva persino lasciato in eredità quella stupenda villa edificata su un costone roccioso di Capri, villa che aveva potuto costruire perché gli fece avere la licenza il suo amico Galeazzo Ciano. Fortuna che gli eredi Malaparte fecero causa e vinsero, e quel gioiello dell’architettura razionalista è rimasto di proprietà dell’Italia.

 

Mi è appena arrivato un documentatissimo catalogo che uno dei più valorosi librai antiquari dell’ultima generazione, il riminese Andrea Galli, ha dedicato a Malaparte. I tantissimi libri del “maledetto toscano” in prima edizione italiana o francese, lettere di Malaparte e a Malaparte, foto. Appena ho visto le due foto dell’abbagliante salone della villa caprense le ho subito comprate. Ad Andrea ho chiesto se lui l’avesse mai vista una copia del mitologico “Viva Caporetto” di cui parlano i libri afferenti all’opera di Malaparte. Mi ha detto che lui ha compulsato l’unica copia di cui si conosca l’esistenza, quella che se ne sta all’Istituto Gramsci a Roma e che corrisponde riga per riga al libro dal titolo “La rivolta dei santi maledetti”, la cui seconda emissione Galli propone a 1.800 euro. 

 

Nell’intelligente catalogo di Galli è ben documentato un frangente tra i più sporcaccioni dell’intero destino di Malaparte. La volta che lui scelse di far da sodale di Amerigo Dùmini, il selvaggio squadrista che aveva capeggiato l’aggressione omicida contro Giacomo Matteotti. Le cose andarono così. Dopo che nel 1922 s’era iscritto al Partito nazionale fascista, nel 1923 Malaparte si trovava a Parigi dove divenne amico del giornalista Nicola Bonservizi che nel 1922 aveva creato il primo Fascio di Parigi. Il 20 febbraio 1924 in un ristorante parigino Bonservizi venne gravemente ferito dai colpi di pistola di uno sciagurato anarchico italiano per poi morire dopo cinque settimane di pena. Ebbene qualche mese dopo, il 10 giugno 1924, la squadraccia fascista capitanata da Dùmini agguanta Giacomo Matteotti che si stava avviando alla Camera dove avrebbe pronunziato un esplosivo discorso contro Benito Mussolini. Il suo cadavere martoriato sarà ritrovato solo il 16 agosto. A quel punto da dentro il Partito nazionale fascista viene fatta partire la panzana che Matteotti era implicato nell’assassinio di Bonservizi. Di questa oscena manovra Malaparte si fa interprete se non protagonista. A Parigi è lui a dichiarare che Bonservizi aveva ricevuto da Dùmini una lettera in cui lo si metteva in guardia contro le intenzioni di Matteotti. Lettera mai esistita. Nella sua testimonianza in tribunale, Malaparte dice sotto giuramento che Dùmini gli aveva detto che loro avevano soltanto voluto far paura a Matteotti, indurlo a confessare che cosa c’era di vero nelle sue trame contro Bonservizi. Tutte fandonie. Recitate consapevolmente da Malaparte, com’è documentato in un recente libro dello storico Mauro Canali.