Foto di Wu Hao, via Ansa  

Terrazzo

Architetti addio, arriva l'IA. Una notizia ampiamente esagerata

Manuel Orazi

L'intelligenza artificiale progetta grandi strutture, e in futuro potrebbe rimpiazzare parte del lavoro umano. Ma l'allarme è per ora eccessivo

Il Pritzker Prize conferito giusto la settimana scorsa all’inglese David Chipperfield – autore di opere anche a Venezia, Salerno, Milano – potrebbe dunque essere l’ultimo. L’intelligenza artificiale o IA come viene abbreviata potrebbe rendere inutile questa professione così come quella dei giornalisti e chissà quante altre visti gli enormi progressi in materia. Già attraverso ChatGPT oggi è possibile fare i compiti e superare esami in qualsiasi università, in architettura i cosiddetti programmi GPT3 “diffusion models” – come DALL-E, MidJourney e Stable Diffusion – si sono propagati velocemente come generatori automatici di immagini di architettura capaci di creare in pochi secondi complesse strutture architettoniche di ogni tipo.

Ad esempio, prendendo spunto da un campionario di elementi architettonici (porte, colonne, archi, trabeazioni, murature) questi programmi possono sviluppare un progetto multipiano immediatamente, mentre oggi si può lavorare anche una settimana per realizzare un buon render di un progetto e ai tempi della rapidograph e del tecnigrafo anche molto di più. All’Università di Austin, in Texas, hanno appena organizzato il convegno “Architecture after AI”, in aprile uscirà il libro di Mario Carpo, Beyond digital. Design and automation at the end of modernity (Mit Press), più di una rivista come Dezeen ha già scritto che il mestiere dell’architetto e persino quello dell’ingegnere di software sono a rischio – ChatGPT infatti è ormai in grado di scrivere codici da solo. Insomma se Atene piange, Sparta non ride. 

Secondo Marco Vanucci, professore alla South Bank University di Londra che sta scrivendo insieme con altri un libro su questo tema, non è proprio così: “È una notizia ampiamente esagerata, tutte le tecnologie vanno capite prima di disperarsi. Non mi sembra che gli agricoltori olandesi o americani abbiano smesso di fare il proprio mestiere da quando sono stati introdotti i droni e i trattori senza pilota né che Amazon abbia smesso di assumere personale dopo che i loro poli logistici sono stati completamente automatizzati. C’è una grande discussione anche nel Regno Unito grazie a Neil Leach, che è inglese ma insegna in Florida, secondo cui l’IA per un architetto è solo una potentissima protesi e nulla più, una sorta di superpotere. Inoltre la tecnologia non esclude la tradizione tanto che sia Carpo che Leach si sono formati su Leon Battista Alberti che citano peraltro continuamente”.

In effetti non è nemmeno la prima volta che si canta la morte dell’architetto. Nei primi anni Settanta, prima di diventare il guru della tecnologia mondiale, Nicholas Negroponte arrivò al Mit di Boston con in tasca una laurea in architettura e si mise in testa di far progettare le case degli americani medi direttamente a loro. Fondò così lo Architecture Machine Group, chiamando a collaborare esperti di progettazione partecipata come Yona Friedman, inventando software di computer-aided-design negli anni del bottom up che partorivano rozzi diagrammi, non a caso Giancarlo De Carlo ne fece tradurre il libro La macchina per l’architettura dal Saggiatore nel 1974.

A parte qualche polemica sulla stampa di settore, non ne uscì fuori granché, gli unici episodi di partecipazione realizzata in architettura come il quartiere Matteotti a Terni di De Carlo o le installazioni di Riccardo Dalisi nel quartiere Traiano di Napoli furono portati a termine con tecniche povere, oltre a ciò Negroponte passò ad altro fondando il MediaLab. Come ironicamente ripete spesso Carpo, alla fine il mestiere dell’architetto sopravvivrà perché è pagato troppo poco per diventare obsoleto, un computer sarà sempre più costoso.