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Terrazzo - Una rivoluzione conservatrice\1

Il romanzo di re Carlo e gli architetti

Michele Masneri

La predilezione del nuovo sovrano della Gran Bretagna per l’architettura è nota. Già negli anni Ottanta questa passione lo portò a bisticciare con un mostro sacro del modernismo come Richard Rogers

La predilezione del nuovo sovrano inglese per l’architettura è stato uno dei suoi punti distintivi, mentre per la regina si parlava più che altro di cani, cavalli e cappelli. L’ex principe del Galles pubblicò un libro a quarant’anni, Uno sguardo sulla Gran Bretagna. La mia concezione dell’architettura, 1989, tradotto in italiano da Frassinelli.

 

 È lì che il futuro sovrano ha messo nero su bianco tutte le sue critiche alla modernità architettonica e fissato dieci comandamenti per una rivoluzione conservatrice. Il grande problema è la coesistenza tra edifici high-tech in acciaio e vetro accanto a quelli tradizionali in pietra e mattoni. Si era allora da un lato negli anni immediatamente successivi al Post-Modern internazionale lanciato da Charles Jencks e Paolo Portoghesi alla Biennale di Venezia del 1980, la prima interamente dedicata all’architettura, e dall’altro nell’apoteosi del thatcherismo che cominciava a rinnovare la capitale del Regno Unito attirando nuovi capitali internazionali partendo dai gloriosi magazzini fluviali abbandonati prossimi alla City finanziaria.

Fu allora che il Principe incrociò le armi con Richard Rogers, protagonista del dibattito pubblico, fautore del recupero delle sponde del Tamigi, della pedonalizzazione di Trafalgar Square e dell’architettura modernista incarnata dal suo capolavoro, il Lloyd’s building terminato circa dieci anni dopo il Centre Pompidou parigino. Carlo osteggiò diversi progetti dello studio Rogers, ma mai apertamente, dispensando battute e consigli privati agli investitori un po’ come nel caso dell’ampliamento della National Gallery che era stata affidata agli architetti Ahrends, Burton e Koralek, definito dal principe “un mostruoso brufolo posto sul volto di un amico amato ed elegante”.

Rogers lo criticò frontalmente con un lungo articolo sul Times, “Pulling Down the Prince” (Demolire il principe) e infine nella sua autobiografia, Un posto per tutti. Vita, architettura e società giusta (Johan&Levi, 2018): “Non credo che il principe del Galles capisca qualcosa di architettura. Più che un linguaggio fatto di tecnologie e materiali in costante evoluzione, per lui l’architettura è qualcosa di immobile, ferma in un certo punto del passato (nel suo caso il classicismo, una scelta bizzarra dal momento che è uno stile poco presente in Inghilterra).

Tuttavia, non essendo disposto a partecipare al dibattito, non ha alcuna importanza se le sue opinioni siano giuste o sbagliate. Gode di una posizione di privilegio, e non dovrebbe servirsene per compromettere l’attività di chi non è d’accordo con lui”. Ciononostante Rogers è stato nominato Lord dalla Regina nel 1991, stesso anno in cui l’ampliamento della National Gallery fu affidata a Robert Venturi e Denise Scott Brown con un progetto dove le colonne e le paraste classicheggianti si dissolvono danzando verso la parete liscia della nuova addizione – oggi peraltro minacciata di una forte e imminente manomissione.


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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).