Stefano Boeri (Ansa)

Terrazzo

Boeri go home. Architetti della capitale contro l'urbanista milanese

Michele Masneri

La "chiamata dello straniero" a capo di “Laboratorio Roma 050”, progetto che prevede una rigenerazione delle periferie agita i professionisti romani. È la disfida della Garbatella

Tra la siccità e le elezioni anticipate ci mancava la disfida architettonica tra Roma e Milano. Se l’eterna rivalità tra le due città non è una novità, quella architettonica sì. Pietra dello scandalo: l’urbanista milanesissimo Stefano Boeri è stato nominato a capo del “Laboratorio Roma 050”, progetto che prevede una rigenerazione delle periferie attraverso l’implementazione dei servizi di trasporto pubblico, della mobilità eco-sostenibile, eccetera. Vasto programma, e Dio sa quanto ce n’è bisogno, e del resto Boeri non ha mai fatto mistero di aver un interesse per la capitale: già autore recentemente della risistemazione della Domus Aurea (ma non lo sa nessuno, perché a Roma l’architettura non interessa), chi lo conosce sa la sua venerazione per Roma. “Roma è il mondo, abbiamo tante volte parlato delle grandi metropoli del pianeta e della competizione che c’è tra le grandi città. Ma la capitale è diversa da tutte le altre, ha un rapporto con la storia, con la geografia e con la demografia che è unico al mondo. E’ davvero la capitale dell’umanità e merita un’attenzione particolare. Gioca un altro campionato, diciamo così”, ha detto ultimamente al Messaggero. Boeri si ispira soprattutto alla Garbatella, quartiere nato come periferico ma diventato nel tempo autosufficiente e “modello”. 

Ma forse nell’estate in cui ribolle il sovranismo sopito, e  in uno dei rari momenti in cui Roma si risveglia dal torpore e dalla rassegnazione gli architetti capitolini si sono fatti sentire:  “Noi non ci stiamo, daremo voce ai nostri 20 mila iscritti. Nonostante avessimo allertato il sindaco Gualtieri e la sua giunta sui rischi di un piano che non prevedesse bandi o manifestazioni di interesse, sono andati avanti approvando la delibera”, ha detto il presidente dell’ordine romano degli architetti, Alessandro Panci. “Questa delibera – spiega Panci – rompe qualsiasi argine, recuperando prassi anacronistiche e all’insegna della mancata trasparenza e a favore dei soliti noti”. 

 

A irritare i professionisti romani sono sia la procedura diretta sia la “chiamata dello straniero”. E nel primo caso Boeri, che ottiene consulenze in tutto il mondo, non si vede perché non dovrebbe averle a Roma (poi tra l’altro solo di una consulenza si tratta, di un laboratorio, appunto, della durata di 18 mesi, e ha annunciato che il lavoro lo farà una squadra di 10 giovani architetti under35, questi sì assunti con bando, e, udite udite, romani). Per l’altra questione,  fa un po’ tristezza questa levata di scudi, perché visto lo stato in cui versa la capitale, vista diciamo la non scintillante vetrina di talenti messa in piedi dalla giunta Gualtieri, quello di Boeri sembrava finalmente un nome internazionale, uno scatto d’orgoglio. 

E chi l’ha detto poi che a dare un contributo alla capitale d’Italia debba essere un romano? Se fosse stato chiamato Jean Nouvel o Tadao Ando sarebbe andato bene? Ma il problema è piuttosto un altro: Boeri, percepito come superstar, superstar milanese, a differenza degli altri è nato urbanista e prima dell’esperienza di assessore ha conosciuto la politica da vicino perché l’urbanistica si fa con la politica. E’ specializzato poi in piani regolatori, che è cosa diversa dal realizzare singoli progetti: autore di p.r.g. per città come Tirana o San Marino come del resto il suo maestro Bernardo Secchi, che li fece in mezza Italia, da Bergamo a Siena a Civitanova (e nessuno se ne lamentava, ai tempi). 

 

Ma la reazione isterica degli architetti romani segnala forse un altro problema: come e più che in altri settori, la capitale è architettonicamente desertificata. Andati via la finanza, l’industria, i servizi, anche l’architettura è evaporata. Certo resistono nomi come Fuksas – alfiere della protesta local-sovranista – e studi come i Labics e Transit, non a caso protestatari contro Boeri, ma altri non sono pervenuti, e non si può certo dire che vi sia un fermento architettonico in città. Al contrario Milano, piaccia o no, negli ultimi anni ha confermato il suo ruolo di incubatrice di studi d’architettura che lavorano anche a livello internazionale: Zucchi, Rota, De Lucchi, Park, Albori, Onsite, Scandurra,  Laboratorio permanente, Andrea Caputo: tutti nomi di eccellenza, messi in rete dal solito “sistema Milano” (perché non imitarlo, invece che lamentarsene, anzi “rosicare”?). Alcuni come Cucinella (un altro chiamato “scandalosamente” a Roma, a realizzare il rettorato di Roma Tre) vengono da fuori, nello specifico da Bologna, poi ci sono studi come Archea da Firenze, altri persino da Berlino o Londra. Milano, poi, forte della sua primazia, letteralmente costruita dagli stranieri, dalle metropolitane fatte da Franca Helg e Bob Noorda ai palazzi del romano Luigi Moretti, dovrebbe vietare agli stranieri di lavorarci? Sarebbe bizzarro: e così ecco Chipperfield, Sejima, Koolhaas, Grafton, tutti al lavoro. 

Mentre a Roma, chi sono gli ultimi architetti stranieri ad aver costruito qualcosa? Forse sotto Rutelli e Veltroni vent’anni fa (e ancora non sono finite le polemiche). Eppure Roma è naturalmente e da sempre sede di stranieri prestigiosi: la più romana delle piazze romane è opera del francese Giuseppe Valadier. I bavaresi Stern ridefinirono il Quirinale e il Colosseo come lo conosciamo oggi; e poi, il primo piano regolatore soffertissimo di Roma è quello voluto dal londinese sindaco Ernesto Nathan che lo affida al torinese-sardo Edmondo Sanjust di Teulada. O vogliamo parlare del divino Julio Lafuente che ha dato un contributo fondamentale alla palazzina, totem dell’architettura romana? Insomma, la battaglia contro Boeri sembra piuttosto quella contro l’apertura del primo McDonalds in piazza di Spagna nel 1986, dove esplose il solito folklore, specialità, quella, in cui la capitale detiene un immutabile primato. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).