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Terrazzo

Rudy Ricciotti, il Quentin Tarantino dell'architettura

Enrico Ratto

Architetto scrittore e amante degli spaghetti western. Scrive perché solo attraverso le parole sa essere coraggioso, mentre quando costruisce è cauto. Ha un ossessione per il cemento: "il materiale più ecologico che esista"

Dice di essere il Quentin Tarantino dell’architettura, mima la pistola con le dita, come in uno spaghetti western. Un amico manda un messaggio e lo definisce il Jean-Paul Belmondo del cemento. Rudy Ricciotti, origini umbre, nato in Algeria, poi i nonni si trasferiscono nel sud della Francia “dove non c’era ascensore sociale, abbiamo usato gli scalini”, vive nella sua enorme casa diffusa di Cassis – per passare da una stanza all’altra si percorrono i sentieri – affacciata sulle calanques. “Nel 2012 mi sono anche fatto un giorno di galera per tutto questo, ma ne è valsa la pena” dice, si è preso anche centocinquantamila euro di multa e per poco non lo radiavano dall’ordine, ma guarda che mare.

 

Per capire qualcosa di Rudy Ricciotti bisogna visitare il Mucem di Marsiglia: non tanto per questo museo che ha costruito nel 2013, andate piuttosto al bookshop. Lì, in fila, uno dopo l’altro, ci sono tutti i suoi libri, brevi pamphlet da cento pagine che Ricciotti produce con una rapidità impressionante. “Hai mai visto un architetto che scrive più di trenta libri?”. E’ un’ossessione. “Certo, l’architetto è ossessivo e paranoico. Per questo diventi bravo da vecchio, prima sei solo creativo, le belle cose le fai solo con l’ansia, l’ossessione, la paranoia”. Bene, scorriamo i titoli, in francese perché ancora mai tradotti in italiano. “L’architecture est un sport de combat”, affermazione che gira molto tra i profili Instagram degli addetti ai lavori, “L’exil de la beauté”, “Le beau, le brut et les truands”, puro titolo western con gioco di parole tra grezzo e cemento, “Le béton en garde à vue”, opera con cui ha portato in teatro la vicenda giudiziaria della casa di Cassis. Poi c’è il lungo dialogo con se stesso, domande e risposte, di fronte a un Pernod Ricard “Je te ressers un Pastis?”.

 

In Francia gli fanno costruire i padiglioni al Louvre (insieme a Mario Bellini) e intanto lo definiscono un polemista. Ma lui non fa libri per alzare polveroni, gli servono per spiegare la complessità in cui naviga la sua mente e, dice, per vivere più a lungo di una costruzione in cemento armato. “E’ una verifica, scrivo per capire se sono ancora vivo. Quando costruisco sono prudente, è molto pericoloso mettere le mani sulla realtà, sai? Quando scrivo sono coraggioso e mi faccio capire. Quando qualcuno parla, dopo trenta secondi sai che tipo di persona hai di fronte, anche se i suoi pensieri sono complessi”.

 

Sono libri in cui c’è tanto Mediterraneo, domande e risposte sulla bellezza, riflessioni sull’architetto-regionale che però si trova a fare costruzioni in mezzo mondo e dovunque vada diventa un “patriota della patria locale”, e poi i lunghi capitoli dedicati al cemento, che da argomento di discussione per ingegneri qui diventa materia per un’analisi antropologica, sociale, persino finanziaria con un filo di attivismo.

 

“È un condimento che risveglia le mie papille gustative, non posso fare a meno di metterlo in ogni piatto” dice Ricciotti. “Ascoltami bene, per me il cemento è il materiale più ecologico che esista. Viene prodotto a venti chilometri dal cantiere, non è come l’acciaio che attraversa il mondo sulle navi, non è un prodotto finanziario e imperialista”. In effetti certe cose non le puoi capire guardando un pilastro, ci vuole un libro, o anche trenta.

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