La recensione

"La caduta della casa di Usher", un puzzle dalla premessa contorta

Mariarosa Mancuso

La grande lezione di Edgar Allan Poe è l’esatto contrario di una serie tv

Edgar Allan Poe è un osso duro. Incubi, allucinazioni e terribili spaventi succedono nella testa dei personaggi: luogo inaccessibile al cinema e alla televisione. La casa Usher che sembra scrutare l’incerto visitatore, convocato da un suo vecchissimo amico, non è che una vecchia casa in rovina. Il “demone della perversità” lo sperimentiamo anche noi: l’orribile spinta a dire – e la terribile lotta per non dire – la frase che proprio non dovrebbe uscir di bocca, per non provocare, offendere, o causare guai più grossi.

C’è molto per rabbrividire e poco da vedere. Nella sua versione di “La caduta della casa Usher”, lo showrunner Mike Flanagan – il meno affidabile degli adattatori, il suo “Incubo di Hill House” non somigliava per niente al romanzo di Shirley Jackson – fa degli Usher una famiglia di industriali. Farmaceutici, così – oltre a imitare l’inimitabile “Succession” – può aggiungere l’ormai molto sfruttata epidemia di oppiacei che tante vittime ha provocato negli Stati Uniti, prima di finire in tribunale. Qui si chiama Licodone, il più realistico Oxycontin era nella serie “Dopesick” e nel film “Tutta questa bellezza e dolore” di Laura Poitras, Leone d’oro a Venezia nel 2022.

La premessa è contorta, Edgar Allan Poe mai si sarebbe dilungato tanto. I suoi racconti erano brevi, da leggersi da cima a fondo senza stacchi. Diceva: “Il lettore va preso per le orecchie e mai mollato fino alla fine”. Grande lezione, purtroppo l’esatto contrario di una serie TV. C’è il giusto punto di horror nella fotografia – e il giusto tocco di modernità fuori dalla casa maledetta – ma gli otto episodi finiscono per aver l’andamento di un puzzle.

“La caduta della casa Usher” ha comunque cura di rendere omaggio all’incolpevole Edgar Allan Poe, nemico dei lettori annoiati. Corvi, morte per consunzione, Pluto il gatto nero, tombe scoperchiate, versi recitati fuori campo. E nomi: Camille L’Espanaye, capo delle pubbliche relazioni per la Fortunato Pharmaceutical, viene da “I delitti della Rue Morgue”, già morta prima che entri Dupin a indagare. Longfellow, padre illegittimo di Roderick e Madeline, era un poeta che il critico Poe – detto “Tomahawk Man” per le sue taglienti recensioni – aveva stroncato. E l’ascia di guerra servirebbe un po’ anche qui.

Flanagan inventa un prequel, nel racconto ci sono un Roderick che somiglia a uno spettro e una Madeline molto malata. Nella serie godono di buona salute e Roderick è padre di sei figli, spinti a far crescere il business di famiglia con una cospicua donazione: chi sperimenta sulle scimmie, chi decide di guadagnare con un rave: lì arriva la “Maschera della morte rossa”, che infetta tutti quanti con la peste (è il titolo dell’episodio, come gli altri preso da Poe: “Il cuore rivelatore”, “I delitti della Rue Morgue”, “Il gatto nero”, “Il pozzo e il pendolo”, e per ultimo il corvo che declama “mai più”). Come tutti gli uomini d’affari, Roderick Usher è sotto interrogatorio. A far le domande è il detective Dupin, pelle nera e finta tranquillità per innervosire l’indagato, che peraltro ha appena seppellito sei figli. Apre la portiera dell’auto per tornare a casa e gli appare un jolly sghignazzante.

Troppe emozioni in un giorno solo, anche trascurando la misteriosa Verna dai capelli corvini, un fantasma che all’occasione sta dietro il bancone e offre whiskey prima di dissolversi. Anche in chiesa il gigantesco organo sembrava abitato da una donna-corvo, o dai figli morti malamente. Il padre Roderick si sente responsabile, ma intanto ha una giovane fidanzata, trovata in ospedale con le ossa rotte: la più assidua consumatrice americana di Licodone.

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