(foto Ansa)

dopo 40 anni in rai

Fazio saluta con Emile Zola (j'accuse!). E' ora di Salvini con Pino Insegno

Andrea Minuz

Il conduttore di Che tempo che fa lascia la tv pubblica e nell'ultima puntata del suo show mostra un riferimento alla madre di tutte le petizioni e indignazioni. Se la destra fosse capace di fare altrettanto, sarebbe una lotta alla pari

Il ruolo della vittima, dell’epurato, del capro espiatorio glielo avevano messo su un piatto d’argento, ma lui niente. Calmo. Sereno. Zen. Soprattutto all’inizio del suo lungo addio, Fazio non evocava oscuri complotti e bavagli, ma addirittura le magnifiche sorti e progressive del mercato (“non siamo martiri, lavoreremo altrove”, un “altrove” davvero radioso, multinazionale, e in grande ascesa dopo la fusione Discovery-Warner). Insomma, nun ce se credeva, come si dice a Roma. Che stile! Che aplomb! Bravo. Nulla però in confronto al coup de théâtre che aveva in serbo alla fine. Sapevamo che l’ultima puntata di “Che tempo che fa” sarebbe stata piagnucolosa e deprimente e così è stato. Si poteva immaginare una letterina di Littizzetto con sproloqui su “un’Italia un po’ diversa”, la libertà, il dissenso, la censura neanche fossimo in Turchia, e tutto quel vasto repertorio che chi ha trent’anni di antiberlusconismo alle spalle ha già visto mille volte. Fazio invece manteneva il pathos della distanza. Lasciava fare. Era del resto la sua festa. Poi, all’improvviso, il genio. Eccolo Fazio, su Instagram, che saluta il suo fedele pubblico immortalandosi con il celeberrimo “J’Accuse” di Émile Zola alle spalle, la madre di tutte le petizioni e indignazioni, emblema di ogni martirologio intellettuale, prequel di tutti gli “Io so”, pasoliniani e non.

Nel suo solito fraseggio pacato Fazio parla dell’ondata di affetti e commozione e dell’abbraccio del pubblico e tutte quelle cose ovvie che si dicono quando si chiude un programma (o un “bellissimo percorzo”, come nei reality) ma intanto dietro, in bella vista, l’aureola con la storica prima pagina de “L’Aurore”. Non una scenografia qualsiasi, ma un ready-made pazzesco. Un santino laico da affiggere subito nelle Feltrinelli del centro. Fazio sotto l’ombra dell’affaire Dreyfus, anche lui epurato dall’esercito francese e senza neanche un contratto con Discovery in tasca. Forse anche un invito subliminale: casomai si mettesse male, potete sempre raccogliere le firme per farmi tornare in Rai (anche l’identificazione Fazio-Dreyfus sarà un’idea di Caschetto).

“L’Affaire Faziò” serve a rimarcare insomma la differenza tra “noi” e “loro”, tra una tv di stato che non può che essere un po’ di sinistra, e una destra che si ostina a voler uscire dal Bagaglino. Lezione per i conservatori che verranno: il giorno dopo l’addio di Fazio, Salvini, anziché pernacchie e tweet da terza media, avrebbe potuto salutarlo su Instagram, auguragli buon lavoro e tutte quelle cose di galateo e circostanza, con un bel poster di “Pino Insegno in tour” alle sue spalle. Il giorno che avremo una destra così, sarà finalmente una lotta alla pari.

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