Matteo Salvini (foto LaPresse)

La tv ha dopato il sovranismo

Mario Morcellini*

E’ democratico un sistema informativo che sceglie i vincitori prima delle urne? Analisi del voto europeo

Quanto ha funzionato la par condicio nella campagna elettorale per le elezioni Europee? A questo interrogativo semplificato, ma al tempo stesso ineludibile, si possono dare risposte unicamente fondate sui dati, ma è chiaro che solo una valutazione ex post, e dunque complessiva, consente di rilevare eventuali meccanismi di alterazione nella rappresentazione del gioco democratico. A sua volta, la funzione dei rendiconti settimanali tipici del monitoraggio condotto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in relazione al tempo di informazione attribuito ai soggetti politici, è finalizzata essenzialmente all’adozione di richiami e sanzioni nei confronti delle emittenti. Tale compito si svolge essenzialmente in itinere, essendo legato allo sviluppo settimanale dei dati, e dunque alla continua verifica nei confronti delle emittenti che la legge sulla par condicio attribuisce come compito specifico all’Agcom.

 

Quanto ha funzionato la par condicio in occasione delle ultime elezioni europee? Una risposta non semplice. Qualche dato

Resta tuttavia fondamentale l’esigenza di un bilancio finale, destinato ovviamente ad avere poco effetto sulle emittenti, ma certamente decisivo per memorizzare correttamente gli andamenti della campagna anche rispetto alle posizioni assunte dal Consiglio, soprattutto nei casi in cui le deliberazioni non siano state adottate all’unanimità.

 

Definiamo dunque il campo su cui questo breve studio interviene, partendo da un’osservazione metodologica e di contestualizzazione. Nei sistemi di valutazione delle performance informative, le percentuali ottenute nelle elezioni parlamentari costituiscono il valore di riferimento rispetto a cui comparare la distribuzione dei tempi televisivi. Un’ulteriore convenzione da dichiarare riguarda il fatto che gli studi sulle singole campagne privilegiano le ultime quattro settimane prima del silenzio elettorale, anche in considerazione della relazione più volte stabilita dagli studiosi tra aumento dell’incertezza sul voto in vista del turno elettorale e ruolo potenziale dei media.

 

Veniamo ora ai trend conclusivi. Nella storia delle campagne elettorali, scostamenti anche notevoli rispetto ai parametri si sono registrati sempre, ma raramente in modo così marcato e continuo nel tempo come in occasione delle Europee del maggio 2019. La singolarità di questa campagna arriva al punto da non riuscire a individuare, nelle tante percentuali complessive studiate, un solo caso di corrispondenza rispetto al valore di riferimento (e dunque un tempo informativo prossimo al peso elettorale precedente e più recente, entro lo scarto dell’1 per cento). E’ come dire che in questa lunga e accesa campagna elettorale il valore di riferimento quasi mai ha funzionato da punto di riferimento.

 

Il tempo di attenzione ottenuto dal partito di Salvini risulta superiore alla forza elettorale conseguita nelle precedenti elezioni politiche

La scelta di studiare la ricapitolazione dei dati relativi al periodo 29 aprile-24 maggio è quanto mai interessante, perché consente serenamente di dire che la Lega ha goduto di una sorta di doping informativo, discostandosi sempre e significativamente dal valore di partenza. E non c’è qui bisogno di ribadire che la letteratura scientifica (una volta tanto in piena sintonia con il buon senso) sottolinea che l’attribuzione di tempo informativo è di per sé veicolo e volano di visibilità, con un possibile impatto sui pubblici e dunque sul comportamento elettorale. Ma è successo qualcosa di più: una scelta di investimento così generosa ha finito per danneggiare l’altro partner di governo, il Movimento 5 stelle, e i partiti di opposizione tra cui il Pd e spesso Fratelli d’Italia, risparmiando in sostanza solo Forza Italia la cui copertura informativa è obiettivamente diversa.

 

Tutto questo è riscontrabile dalla raffigurazione grafica in questa pagina.

 

Osservando queste percentuali, assai eloquenti ai fini di una percezione più nitida della recente campagna elettorale europea, il dato da ribadire è la sopravvalutazione informativa della Lega. In tutte le emittenti studiate il tempo di attenzione ottenuto dal partito di Salvini risulta sistematicamente superiore alla forza elettorale conseguita nelle precedenti elezioni politiche che arrivava al 17,5 per cento tra Camera e Senato. 

 

 

Scrutinando ancora queste performance, Rai e soprattutto Mediaset risultano le più contenute (sempre aumentando però i tempi attribuiti alla Lega). Scorrendo i dati appare tuttavia ben più sconcertante l’accompagnamento simpatetico realizzato in campagna elettorale da SkyTg24 e La7, che hanno “anticipato”, con singolare prossimità di percentuali, la “successiva” vittoria della Lega. In queste due emittenti, inoltre, la dotazione di tempo attribuita a un unico competitor finisce per rendere quasi inesistenti le forze politiche di opposizione.

 

Più in generale, gli “altri soggetti” della competizione comunicativa risentono variamente ma inevitabilmente del monopolio attribuito a quello che rischia di apparire il “partito unico” dell’informazione: può sembrare un assunto forte solo se si dimentica che, nei sistemi democratici, quando un soggetto ottiene un quarto (se non un terzo) del tempo informativo disponibile finisce per ridimensionare le altre offerte politiche. E’ così che il Movimento 5 stelle, che pure aveva conseguito il 32,4 per cento alle elezioni del 4 marzo 2018 (ed era dunque lo standard di riferimento) non raggiunge mai questa percentuale: in un caso la vede ridimensionare addirittura al 19,3 per cento, mentre la Rai, come sempre più prudente, arriva al 25,3 per cento, comunque restando ben al di sotto delle percentuali attese.

 

E’ stato comunque il Partito democratico il soggetto manifestamente più penalizzato di questa campagna elettorale

E’ stato comunque il Pd il soggetto manifestamente più penalizzato di questa campagna elettorale. Se il 4 marzo era arrivato al 18,9 per cento, nelle elezioni Europee si deve accontentare di valori avari sulla Rai e ancor di più su Mediaset e La7, vedendosi addirittura quasi dimezzato su SkyTg24.

 

Rispetto alla sistematica sottovalutazione di cui hanno “goduto” Movimento 5 stelle e Pd, la copertura informativa di Forza Italia si presenta invece ambivalente. Se La7 e SkyTg24 accordano un tempo di antenna leggermente inferiore al peso politico-elettorale (14,2 per cento), la Rai si posiziona di poco sopra i valori di riferimento, ma il dato che colpisce davvero è la sopravvalutazione del tempo di attenzione da parte di Mediaset: un esempio lampante della asimmetrica modernità del sistema informativo italiano.  

 

Chiude l’elenco dei soggetti politici Fratelli d’Italia che, rappresentando il partito comparativamente più debole nel risultato elettorale 2018 (4,3 per cento), risulta abbastanza premiato da Mediaset e soprattutto dalla Rai. La copertura cambia radicalmente nelle due emittenti che hanno circondato la Lega di tempi comunicativi non equilibrati rispetto ai parametri di riferimento. Su La7 e SkyTg24 rischia infatti la scomparsa, essendo sistematicamente più che dimezzato il tempo informativo rispetto alla base di partenza. La spiegazione è facilmente leggibile: quando le emittenti scelgono il doping di attenzioni comunicative per un soggetto costruito come centrale, per tutti gli altri restano risorse evidentemente scarse.

 

L’insieme di queste tendenze pone interrogativi ben più importanti per chi abbia a cuore il rapporto tra informazione politica e democrazia

Occorre segnalare per di più che una tale scelta di attenzione rappresenta un indicatore, indiretto ma trasparente, di quanto le emittenti si siano davvero impegnate per un’informazione adeguata alla natura europea del voto. A ben vedere, quest’ultima è stata insufficiente, come l’Autorità ha segnalato nei suoi interventi pubblici. Tutto ciò è riconducibile a un’antica disposizione del giornalismo nostrano a sopravvalutare il cortile domestico della politica trascurando l’informazione europea. Quella italiana dunque sembra ispirata a un banale sovranismo domestico.

 

L’insieme di queste tendenze sottolinea l’aspetto riduttivo delle verifiche in itinere, ma pone interrogativi ben più importanti per chi abbia a cuore il rapporto tra informazione politica e democrazia. E’ del tutto evidente che il tradizionale parametro basic di ispirarsi, almeno figurativamente, alla forza elettorale ottenuta nelle votazioni parlamentari si è liberalizzato nel sistema informativo italiano, venendo sempre corretto e spesso radicalmente distorto da un investimento selettivo delle emittenti a favore di singoli soggetti. A essi si regala un tempo di attenzione costruito tra un’acritica adesione ai sondaggi e una tradizionale compiacenza ai meccanismi della personalizzazione, con tanti saluti alle indicazioni relative alla par condicio.

 

Niente a che fare dunque con il nobile riferimento alla libertà editoriale, perché a nessuno può oggi sfuggire quanto l’attribuzione di tempo d’informazione diventi una risorsa strategica della modernità.

 

E’ ancora un sistema informativo pienamente democratico quello che sceglie i vincitori prima delle urne? Eppure, un trend di questo genere, tutto volto a circondare di cure benevole il carro del vincitore, ha attraversato la storia italiana più recente ponendo il problema di sottoporre ad analisi più estese e mirate l’eventuale contributo dei media al successo di leader e soggetti politici. Non può essere la libera informazione ad assumersi il compito di fare campagne elettorali, di fatto permanenti e più o meno criptate. Chi vorrà approfondire l’andamento dei risultati delle Regionali, intercorse tra le elezioni Politiche del 4 marzo 2018 e il successivo appuntamento europeo, potrà individuare ulteriori indizi e prove dimostrative in questa direzione. E per capire il potere di trascinamento che questi turni elettorali hanno avuto è pertinente un’osservazione di Ilvo Diamanti sulla qualità della comunicazione politica del nostro paese: essa appare sempre più “impersonale. Lontana dal territorio. Digitale, ancor più che televisiva. Così, tutto risulta più diretto. Anzi immediato. Senza mediazione né mediatori” (Repubblica, 4 novembre 2019).

 

C’è quanto basta per avviare una riflessione sull’impatto politico dell’informazione televisiva in campagna elettorale, che si faccia carico di contestualizzare la dinamica tra investimenti informativi e risultati elettorali in uno scenario di incertezza e crisi sociale accentuata. Solo dall’analisi dei dati, integrata con dichiarati obiettivi di un rispetto non formale degli imperativi della par condicio, si possono innovare metodi un po’ consunti di monitoraggio e ricerca, in un contesto in cui le chance di intervento correttivo hanno senso solo radicalmente ripensate nel tempo nuovo, non risparmiando dunque i media digitali. 

 

*Commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

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