Matteo Salvini ripreso da uno smartphone (LaPresse)

Tiktok politics

Eugenio Cau

Dopo Salvini si sono aperti i cancelli della politica nel social dei teenager, tra allarmismi e un consiglio: se fate i giovani senza esserlo, fate ridere

Il primo problema di scrivere un articolo su TikTok è che devi scaricare TikTok. La app cinese adorata dai ragazzi di tutto il mondo ha un target demografico piuttosto preciso, e anche un millennial fascia anziana che si occupa di tecnologia per lavoro si sente vecchio quando la apre. Meglio scaricarla all’occorrenza, soltanto quando c’è un articolo da scrivere, usarla intensamente per quei giorni o quelle ore e poi disinstallarla. A stare su TikTok si solidarizza con i sessantenni che arrancano su Facebook, è un attimo che da ok boomer si passa a ok millennial, e subito è chiaro che la cosa più caritatevole da fare per mantenere il rispetto di sé è evitare di fare l’anziano su TikTok. Chissà invece cos’ha pensato Luca Morisi, o chi per lui dentro alla Bestia, quando ha deciso di far esordire il quarantaseienne Matteo Salvini sul social network dei teenager.

 

L’accoglienza al capo della Lega è stata turbolenta. Guardando i commenti si scopre il segreto di un social che vuol restare leggero

Salvini su TikTok è un fenomeno cominciato una decina di giorni fa. Per chi non lo sapesse, TikTok è un social network in cui si possono pubblicare brevi video accompagnati da musica e da vari effetti. Era nato come una app per il karaoke, poi è diventato uno YouTube più svelto e giocoso. Finora Salvini ha pubblicato nove video, e già si nota una certa evoluzione. I primi due sono classico Salvini. Nel primo stringe la mano a carabinieri in divisa, il secondo è lo spezzone di un talk show, con il capo della Lega a salmodiare sugli immigrati che devono stare a casa loro. Poi qualcosa dev’essere cambiato dentro alla Bestia, gli assistenti di Salvini devono aver studiato meglio il mezzo, ed ecco fiorire Salvini tiktoker, l’ultimo modello dopo Salvini militare, Salvini pompiere e Salvini con il dolcevita. Da quel momento lo vediamo mentre: abbraccia un ulivo secolare, fa accenni di un balletto su una terrazza romana, canta Albachiara e si imbarazza al verso “con una mano, una mano, ti sfiori”, filma orsi bruni che attraversano la strada, fa jogging tutto affannato dopo aver mangiato olive ascolane. Con un certo disappunto notiamo che sembra essere fallito l’esperimento di memizzare il capo della Lega: il video più riuscito finora, quello in cui Salvini si paragona a Thanos quando dice: “Io sono ineluttabile”, è tra quelli che ha avuto meno like. “Ineluttabile” non è immediato come “Prima gli italiani”. Peccato.

 

 

Fin qui tutto regolare. Salvini ripresenta su TikTok la stessa estetica che usa con successo su Facebook, riadattata ai nuovi mezzi, e almeno uno dei post è una storia di Instagram ricicciata. La vera notizia attorno allo sbarco di Salvini su TikTok sono stati i commenti. Tutti negativi, o quasi. L’accoglienza a Matteo Salvini su TikTok è stata turbolenta, e i rari “Avanti tutta Capitano!” sono sommersi da critiche, battutacce, reazioni negative. Se Salvini fa jogging, il commento più comune è: “Ti stai allenando per scappare dall’Italia?”, se canta gli ricordano che è migliore come interprete di Vasco Rossi che come politico. Il commento più raffinato probabilmente è quello di “stefaniadellipaoli”, che scrive: “Ci troviamo in una puntata di Black Mirror. E’ l’unica spiegazione”. Ma il commento più rappresentativo lo scrive “pumpkinmama”: “Vecchi tornatevene su Facebook”.

 

In effetti, a campionare l’accoglienza ricevuta da Salvini su TikTok, il sentimento prevalente è la costernazione. “Ma come, pure qui?”, “Da quando i politici su TikTok?”, “Oddio anche qua ti devo trovare”, “Pure qua, basta!”.

 

Se su Facebook i factchecker arrancano, su TikTok non ci sono proprio. Indovinate chi ci guadagna più di tutti?

Per metà sono commenti di utenti stanchi di Salvini, di vederlo continuamente in televisione, in radio, sui giornali, su Facebook, su Twitter e su Instagram, non ne possono più di avere il capo della Lega su tutti gli schermi. Per metà invece sono commenti stizziti all’idea che la politica italiana, non soltanto Salvini ma soprattutto quella di fede populista, affiori su TikTok. La polemica sterile, la propaganda becera, la retorica facile: per qualche mese benedetto, TikTok aveva avuto il privilegio di essere l’unico social network di enorme successo libero dalla politica, una grande bolla in cui tutto è scherzo e meme e balletti ammiccanti di ragazzine e ragazzini minorenni (sono una parte consistente, quasi preponderante del social network). Poi è arrivato Salvini, con i suoi balletti decisamente meno ammiccanti, e si sono aperti i cancelli del recinto. I sostenitori leghisti hanno scaricato la app per stare sempre vicini al loro capitano, è arrivata anche Giorgia Meloni, e i giornalisti millennial fascia anziana si sono avventati su TikTok per scrivere i loro articoli. Se c’è un testamento del potere della Bestia, è questo: non tanto quello di spostare i cuori e le menti degli elettori, ché la retorica di Salvini si sente forte ma basta qualche sardina a farla tremare, quanto quella di eccitare politici, giornalisti e tutti i colleghi del grande circo. 

 

Alcuni utenti che guardano con orrore il discendere dello zoo politico sul loro social preferito tirano in ballo il regolamento e commentano: su TikTok è vietato parlare di politica! Lo scorso ottobre TikTok ha vietato la pubblicità a pagamento che tratta di politica, come ha fatto Twitter in seguito, e questo è un segnale del fatto che il social network vorrebbe rimanere un’oasi leggera e giuliva, in cui le complicazioni della politica sono tenute fuori. Questo perché il target dei teenager non ama molto il tema, e anche perché per un social network di origine cinese la politica è una materia scivolosa, e fin dalla sua nascita TikTok deve affrontare accuse spesso giustificate di censura o cattiva gestione di questioni politiche o sociali. Ma chiaramente se Matteo Salvini o chiunque altro decide di aprire un account su TikTok e fare post in cui parla di immigrazione e abbraccia grossi tronchi d’albero non c’è regolamento che tenga (per fortuna), e dunque ecco servita la politica italiana su TikTok.

 

 

Non c’è soltanto la politica italiana. Se da noi Salvini appare un pioniere, gli strateghi elettorali di tutto il mondo guardano da tempo a TikTok con un certo interesse. La maggior parte degli utenti del social network è minorenne e troppo giovane per votare, ma sapete come funziona la cultura di internet: se una cosa diventa virale su TikTok, diventa virale anche su Instagram, e dopo qualche giorno perfino i giornalisti se ne accorgono e ne parlano in tv. Negli Stati Uniti l’ha notato il candidato democratico alla presidenza Pete Buttigieg, che in teoria sarebbe il più giovane e il più dinamico dei candidati dem (ha 37 anni). Peccato che sia un centrista che fa sognare i centristi in un momento in cui i giovani apprezzano il socialismo, e che abbia una certa aura di papà in maglioncino che porta i figli a scuola, non esattamente trendy. Non aiuta il fatto che la campagna elettorale di Buttigieg abbia adottato come canzone ufficiale “High Hopes” dei Panic! At The Disco, ma l’abbia associata a un balletto ridicolo e démodé. A causa del suo cognome impronunciabile, Pete Buttigieg si fa chiamare Mayor Pete, per la sua carica di sindaco di South Bend, ma i teenager tiktoker hanno iniziato a chiamarlo Mayo Pete, perché è bianco come la maionese (il suo apprezzamento tra l’elettorato afroamericano è pari a zero) e scialbo come la maionese (gli americani sono abituati a condimenti intensi). Pare che il meme Mayo Pete sia nato su Reddit tra i sostenitori di Bernie Sanders, ma che soltanto su TikTok sia diventato virale, e da lì è finito sui media americani, a dimostrazione che anche se nessun candidato alle elezioni del 2020 è su TikTok (a un certo punto Julián Castro aveva aperto un profilo, poi abbandonato) il social network cinese fa già parte della discussione pubblica.

 

Alcuni utenti che guardano con orrore il discendere dello zoo politico sul loro social preferito tirano in ballo il regolamento

Il miglior successo politico su TikTok è senza dubbio l’account aperto dal Washington Post. Gestito da Dave Jorgenson, un 28enne che prima faceva video umoristici, il TikTok del WaPo ha come nome profilo “We are a newspaper.”, con il punto finale, come a dire: bimbi, avete presente quella cosa di carta che leggevano i vostri nonni e che papà e mamma hanno smesso di comprare da qualche anno? Ecco, noi siamo quella cosa.

 

La cosa di carta è sventolata ben visibile in molti dei video TikTok di Jorgenson, che parlano della vita di redazione ma anche molto di politica. Sul TikTok del Washington Post finora sono apparsi quattro candidati democratici alla presidenza. Julián Castro, che ha fatto un video davvero divertente con suo fratello gemello e ha ottenuto mezzo milione di like, Andrew Yang, che si è preso in giro ironicamente per i suoi sondaggi scarsi e ha fatto un quarto di milione di like, Cory Booker, che è stato ospitato giusto ieri, e Beto O’Rourke, che ha fatto un TikTok deludente quanto la sua campagna elettorale.

 

Persino il democratico Buttigieg, che a differenza degli altri non è over 55, è diventato “Mayo Pete”: bianco e scialbo

Su TikTok non c’è Donald Trump, lui ha padroneggiato così bene Twitter che si guarda bene dal toccare qualsiasi altro social, ma i trumpiani vanno fortissimo. #trump2020 è l’hashtag politico più usato sulla piattaforma con 273 milioni di visualizzazioni. E’ enormemente più dei 3,6 milioni di #joebiden e dei 2,8 milioni di #warren2020. E’ più popolare perfino dell’hashtag generico #politics, che ha 167 milioni di visualizzazioni. I contenuti trumpiani su TikTok assumono una varietà di forme, da video meme riciclati da altre piattaforme a ragazzini che sbraitano slogan davanti alla telecamera fino a meme più raffinati. Come già succede altrove, i contenuti pro Trump sono quelli più interessati dal fenomeno della misinformazione, con la differenza che TikTok è un social giovane e meno soggetto al controllo dei media occidentali. Se su Facebook i factchecker arrancano, su TikTok i factchecker non ci sono, e associati a #trump2020 si trovano complotti antivaccinisti, l’immancabile QAnon, negazionisti climatici di vario tipo, la classica pillola rossa e l’ultimo arrivato nel gruppo: “Epstein didn’t kill himself”, la teoria per cui Jeffrey Epstein, il finanziere molto ben collegato finito in carcere per vari abusi sessuali, non è morto suicida ma sarebbe stato assassinato.

 

Sono dunque due le grandi preoccupazioni che girano attorno a TikTok: è una app cinese, la cui azienda madre dipende da Pechino per la propria sopravvivenza nel business, e finora si è dimostrata più preoccupata a gestire la questione della sua cinesità che a gestire la misinformazione. Sono problemi che si sono verificati già in India, a Hong Kong, e presto ce ne dovremo occupare in occidente. Ma per ora, da parvenu, abbiamo ancora un po’ di tempo per goderci i nostri leader politici che cantano Albachiara.

 

Haley Victory Smith, una columnist di USA Today che si definisce “uno dei membri più anziani della generazione Z” e che sarà nata nel 2003 o poco più, ha scritto qualche giorno fa un articolo in cui esorta i politici a sbarcare su TikTok, ma con qualche accortezza. Il consiglio più importante è “embrace the age gap”, che significa: sarete gli unici adulti in mezzo a un branco di ragazzini, e sapete quello che succede agli adulti quando cercano di apparire giovanili, mostrano soltanto la loro disperazione. E’ probabilmente questa la ragione della costernazione per Matteo Salvini su TikTok. Si vede che ci prova troppo, e se è vero che i giovani alle ultime elezioni hanno votato a maggioranza Lega, fossi nella Bestia starei attento all’effetto boomerang.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.