Claudio Baglioni a Sanremo giovani 2018 (foto LaPresse)

Il Festival sovranista

Saverio Raimondo

Prima le canzoni italiane! Il presidente Baglioni chiede la fiducia, qui a Sanremo c’è tutta Viale Mazzini

Sanremo. “Non è un Festival politico” ha dichiarato ieri il presidente Baglioni in conferenza stampa prima di chiedere la fiducia, stasera in diretta tv, per il suo secondo mandato a Sanremo. Poi si è subito smentito da solo, annunciando l’ennesimo super ospite italiano (Riccardo Cocciante): cosa c’è di più politico oggi di un festival orgogliosamente sovranista, che non vuole far sbarcare ospiti stranieri perché prima gli italiani, perché “l’analisi costi-benefici di avere Lady Gaga a Sanremo sarebbe negativa”, oltre al fatto che gli ospiti stranieri si fanno pagare in franchi africani e poi ci fanno il signoraggio musicale. Del resto da evento popolare a evento populista il passo è breve. Basta girare l’angolo dietro il teatro Ariston per imbattersi nel paese reale, accorso all’Ariston con rinnovato nazionalismo canoro: c’è il sosia di Pavarotti – che però sono 12 anni che non ci somiglia più, da quando cioè il Maestro ha abbandonato lo stato solido per quello gassoso – che è qui tutti gli anni, e fa apparire il resto dell’umanità come altrettanti sosia; e quindi quel vecchio col cappello e gli occhiali è il sosia di Al Bano (anche se più basso), quel vecchio bruciato dal sole e vestito di scuro è il sosia di Carlo Conti (anche se è pelato), quella vecchia con la sciarpa è Mina (anche se non ci somiglia per niente). Vecchi, tantissimi vecchi. Una signora mi racconta di essere una grande fan di Peppino di Capri, di essere andata anche a trovarlo a casa sua, ma lui non c’era, era all’estero. (Mi dice anche di essere andata in Abruzzo a cercare dove vive uno dei tre ragazzi del Volo; a questo punto credo sia una stalker).

  

L’Ariston è blindato, transennato, impenetrabile; per entrarci, la burocrazia e i controlli superano quelli aeroportuali. Di cosa hanno paura? Che i gilet gialli sconfinino a Ventimiglia e arrivino a contestare la musica italiana? L’atmosfera è da obiettivo sensibile post 11 settembre, ma ne mancano i presupposti. Ecco perché i numerosi poliziotti in divisa che attraversano il corso in direzione Ariston sono buffi, sembrano tutti mascherati da Salvini. Più che il Festival della canzone italiana, Sanremo è una convention Rai, una conta interna: sono tutti qui, si salutano, ti guardano e si chiedono chi tu sia e perché loro non lo sanno. Per un’intera settimana, l’intero quartiere Prati-Della Vittorie di Roma si trasferisce qui. Con il senno di poi, ecco l’errore strategico del Generale Junio Valerio Borghese: la sede della Rai in Viale Mazzini non andava occupata l’8 dicembre, ma durante la settimana di Sanremo: non c’è nessuno, corridoi vuoti, nessuna resistenza.

 

A un bar di Sanremo, sotto Festival, tre cioccolatini e un accendino: 5 euro. Poi magari sono gli stessi che dicono di volerci uscire, dall’euro.

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