Farsi un elisir
Fuga dalle ferie per ascoltare un delizioso Donizetti a Macerata, tra cocktail, amore e party in spiaggia
"Mi porti a Macerata?". Per un attimo ho pensato a una fastidiosa radiolina accesa dal vicino di ombrellone, mi ero appena sdraiato al sole a Gabicce Mare proprio sotto l’edificio progettato dal nonno della mia piccola genoana e mi stavo giusto rilassando, la prova costume hawaiano era andata bene e non mancava nulla, il mare piatto, la fascetta dei giornali, un Malaparte da iniziare e un cornetto appena scartato per festeggiare il primo giorno di vacanza. “Dai, mi porti?”, e ancora “non possiamo non andare”, ogni volta la stessa frase. “Fanno Elisir allo Sferiste - rio”. Ho provato anche a resistere ma lei non mi ha dato tregua “è ambientato in spiaggia e sarà come se fossimo rimasti qui”. Dieci minuti, una doccia e un caffè shakerato e siamo già in autostrada per la seconda partenza intelligente del giorno e mannaggia alle regie di Damiano Michieletto e soprattutto a lei che non ne perderebbe una, il Ballo in maschera alla Scala non era niente male e anche il Falstaff con Mehta e il Brecht al Piccolo con quelle altissime gabbie ma poi il Don Giovanni alla Fenice l’abbiamo perso. “Che scusa avevi, quella volta?”.
Alla fine riesce sempre a farmi sentire in colpa. Elisir in effetti non si può perdere, è la mia opera preferita, parla di cocktail e d’amore, due cose che danno senso alla vita e alla scrittura, perché io ci continuo a credere, e se almeno quell’editore di Macerata avesse pubblicato il mio “Giro del mondo in 80 cocktail” ora potrei dire di essere un vero scrittore, altro che cornetti ingoiati al volo e corse in macchina coi minuti contati. Per fortuna c’è il navigatore a portarci nella giusta direzione e possiamo distrarci ed ascoltare su YouTube tutte le furtive lagrime della storia. La versione di Di Stefano la passiamo sei volte, è come un raptus e non per niente a casa ho un 45 giri del tutto consumato e poi c’è l’Elisir con Joan Sutherland e Pavarotti del 1970 e lui che si aggira nel giardino di Adina con la giacca contadina in spalla, è rigidissimo manco avesse zappato tutto il giorno ma la voce è inconfondibile, come la storica versione di Caruso alla Carnegie Hall, non la sentivo da quando Woody Allen l’ha messa in “Match Point”, la pallina da tennis va da destra a sinistra e viceversa ma poi prende il nastro e si ferma a mezz’altezza e noi a chiederci per tutto il film da che parte sarebbe finita. Ci domandiamo la stessa cosa quando vediamo le mura di Macerata, parcheggiare al teatro o vicino al ristorante? E’ il dilemma di sempre e lo risolve Patrick, un ghanese di 22 anni, ci tiene un posto libero a due passi dallo Sferisterio e ci fa pure far manovra e allora gli compro due paia di calze, un ragazzo così va premiato, gli mollo dieci euro e lo incoraggio a iscriversi a un corso di meccanica, noi ne abbiamo bisogno adesso, se aspettiamo i figli della famiglia tradizionale le nostre aziende se ne saranno andate tutte. Sono leggere e di un cotone morbidissimo ma alla fine le lascio nel baule quando la piccola genoana mi ricorda che stasera, dopo Elisir d’amore, c’è Elisir da mare e non è solo un gioco di parole, è il party di chiusura, ci ha invitati Barbara Minghetti, la direttrice in persona e il look da spiaggia è obbligatorio.
Mi guardo nella vetrina e sono già perfetto, ho la camicia indiana e il cappello di cotone, se tengo il costume hawaiano e gli occhiali da sole presi a Ibiza è fatta e magari porto anche il salvagente gonfiabile che mia mamma mi ha regalato il mese scorso per un motivo che non posso confessare. Si è parlato tanto di Macerata per gli orrendi fatti di quest’inverno ma noi siamo qui per raccontare una città diversa e un festival che è diventato tra i più belli del paese e poi le Marche mi piacciono da morire, ho degli amici a Citanò e sono sempre battute tra pistacoppi e pesciaroli, la rivalità tra mari e monti è molto accesa da queste parti e non solo se si parla di pallavolo. Il centro storico è un vero incanto, un giorno potrei pure venirci a vivere, sono belli i tavoli di piazza Mazzini all’ora dell’aperitivo e poi c’è Scaramouche, la mia libreria preferita, ci avevo preso la prima edizione di “Prigionieri e Vulcani” di Filippo Tommaso Marinetti, stavo andando a trovare un amico a cui avevano dato i domiciliari a Stromboli. Nel frattempo, come spesso accade, le accuse dei pm sono cadute, ci sono voluti sei anni poverino, quest’anno gli porto un bel ciauscolo per festeggiare l’assoluzione guardando le stelle dalla casa di Ginostra. Stanotte saranno di certo stupende, è la notte di San Lorenzo e l’aria è tersa e mi fermerei tutto il tempo qui, nel bel mezzo della piazza, a dare baci alla piccola genoana e alla sua spilla col grifone, ma abbiamo i minuti contati, ci attendono da Rosa con una frase di Jean Anthelme Brillat-Savarin sulla prima pagina del menu, dice qualcosa tipo “occorre prendersi cura della felicità dei propri commensali” e ci riescono alla grande con un bel piatto di vincisgrassi e un pistacoppo al forno, il piccione ripieno di rigaglie, pane grattugiato e pecorino tipico di Macerata, invece di sparare per strada, quel povero idiota avrebbe dovuto mangiarne uno al giorno e anche farsi un bicchierino con gli amici, lo dice uno studio dell’Università di Oxford che bere in compagnia allontana la solitudine e la depressione e pure la demenza e rende tutti più gentili.
Come i vicini del nostro tavolo, due simpatici australiani che stanno per finire il loro viaggio in Italia. “Quando ripartite?”. “Alla fine di ottobre”. Brindiamo alla partenza imminente e c’è da capirli, ci sarebbe da restare qui per sempre e facciamo due passi con loro e di fronte al Lauro Rossi gli racconto a una serata qui, dedicata a Stefano Scodanibbio, il più grande contrabbassista mai apparso sulla faccia della terra, eravamo rimasti a bocca aperta davanti a un video in cui suonava la sequenza di Luciano Berio e tirava fuori dei suoni che sembravano venuti da un altro mondo. Stavolta a restare a bocca aperta è la piccola genoana, è la sua prima allo Sferisterio e dev’essere un bel colpo, certo “mai come il mio stadio preferito”, quello di Genova disegnato da Vittorio Gregotti, questo ha la forma ellittica e un muro alto e largo che nemmeno a Gerusalemme. L’avevano costruito per le partite di palla al bracciale, era lo sport nazionale e qui ci giocava Carlo Didimi, il Cristiano Ronaldo del tempo, fu immortalato in un’ode da Giacomo Leopardi e sarebbe ancora oggi un eroe “se non fosse arrivato il mio Genoa Cricket and Football Club”. Ha ragione, sono stati loro a portare il calcio in Italia, mi sto leggendo tutto Gianni Brera ed è una storia che conosco bene e aveva ragione anche sulle scene disegnate da Paolo Fantin, la spiaggia è una spiaggia vera, c’è la sabbia, ci sono gli ombrelloni e le sdraio e le docce e il beach volley e i bagnini che si fanno i selfie con le turiste e guardano il mare col binocolo e il mare siamo noi, una tribuna larghissima e le colonne dello Sferisterio in mattoni facciavista come i muri, gli archi e tutto il resto, perché qui nemmeno un centimetro è intonacato e siamo come una grande onda di argilla che si è fermata di colpo per guardare lo spettacolo. “Ec - co la tua Gabicce”. In effetti è come stare al mare e c’è pure il Bar Adina, vende cornetti e caffè shakerati e Giannetta (Francesca Benitez) porta tanti frappé come se non ci fosse un domani e in prima fila sul lettino c’è proprio Adina (Mariangela Sicilia) che Nemorino (John Osborn) osserva da lontano, “quanto è bella, quanto è cara, più la vedo e più mi piace” e che legge su un rotocalco la storia di un elisir che fece innamorare “la bella Isotta”.
Sono i tipici stratagemmi che non servono a Belcore (Iurij Samoilov), arriva con passo sicuro, ha la divisa bianca da capitano e lo sguardo di chi conquista il mondo con le parole, somiglia a Frank Sinatra in “Un giorno a New York”, si mette in costume e ha una tartaruga da sogno, ne ha fatti di addominali e si rivolge ad Adina con parole sicure, portate dalla musica di Donizetti che è sempre “allegra, leggera e cantabile, piena di fiori e di sole”, Théophile Gautier aveva proprio ragione e pure il nostro Michieletto che ha avuto il colpo di genio di portare quest’opera in spiaggia. Come ogni latin lover, Belcore ha un rivale sfigato, Nemorino è il mozzo della spiaggia, sposta lettini e gonfia canotti, ha un bel panzone ma almeno non si toglie la maglietta o Adina finirebbe per fuggire. Uno più impacciato di lui non si è mai visto, le regala un orsacchiotto ridicolo che lei butta subito nel cestino. La sua unica possibilità è l’elisir d’amo - re, è Dulcamara (Alex Esposito) a portarlo in spiaggia su una jeep bella fiammante, le sue hostess portano grandi lattine di Elixir, è un energetico potente, siamo nel tempo del fitness e ovviamente in spiaggia si diffonde l’entusiasmo. Nemorino non resiste allo “stupendo eli - sir che desta amore”, lo trangugia come un bimbo assetato, “caro elisir, sei mio!” e subito si mette a ronzare attorno ad Adina con pinne, fucile e occhiali e si capisce, Michieletto è del paese di Edoardo Vianello e canta “domani mi amerà” come se niente potesse fermarlo.
Tutto attorno la spiaggia prende vita, si balla e si beve e quando arriva l’inter - vallo anche noi siamo assetati e vorremmo un goccio di elisir ma al bar non ce n’è traccia e allora ci buttiamo sull’uni - co drink possibile, l’anice secco Varnelli che fanno a Macerata, servito in un bicchiere sottile, tre cubetti di ghiaccio e una punta di seltz e l’entusiasmo è subito a palla, finisce in un attimo e ne ordiniamo un secondo, questa volta da asporto perché si stanno avvicinando le nozze. Adina ha accettato la proposta di Belcore ma tutti sanno che è una questione di tempo, l’elisir farà effetto molto presto, proprio come sta accadendo a noi, e cambierà le condizioni della sfida. La torta nuziale è un gonfiabile che sale lentamente davanti a Francesco Lanzillotta che dirige l’Orchestra delle Marche con mano sicura, arriva Dulcamara ed è un vero maranza mentre Adina finalmente capisce che Nemorino è innamorato di lei e non sa che l’elisir sta per fare il suo effetto. La furtiva lagrima è cantata dal tetto del bar, è il giardino di Adina à la Michieletto e ci pare di vederla scorrere sulla guancia dell’amata perché John Osborn la canta a meraviglia, il “si può morir d’amor” è un trionfo e il pubblico esplode e arriva la magia di un bis a scena aperta, non lo vedevo da un Barbiere con Leo Nucci al Regio di Parma, lo ricordo bene il nostro Leo, era carico a mille e gongolava sul palco ed era stato un gran trionfo di lambrusco e torta fritta. Anche qui finisce tutto in una grande festa, un lieto fine così non si è mai visto, Adina è conquistata e Nemorino eredita una fortuna dallo zio. Al “ti giuro eterno amor” anche la mia piccola genoana si emoziona, la lagrima spunta pure a lei, mi stringe un ginocchio e mi allunga un altro Varnelli, chissà dove l’ha preso, brindiamo ancora ed è soltanto un anticipo dell’ultimo show di Dulcamara che spaccia elisir per tutti prima di dare l’addio alla spiaggia “viva il grande Dulcamara, possa presto a noi tornar” e sono tutti sballati e già rimpiangono la sua partenza.
Gli applausi sono lunghi e scroscianti e lo credo bene, una regia così spassosa non si vedeva da tempo e poi il grande party sta per cominciare e al Bar Adina possiamo andarci pure noi a scolarci altro anice on the rocks. In un attimo ci siamo e non importa se la spiaggia è di gomma tritata, ci togliamo subito le scarpe e balliamo con Tim Maia e Alan Sorrenti e la grande Aretha Franklin e dall’alto cadono festoni d’argento e ci allungano altri bicchieri e guardo la mia piccola genoana e sono ingrifatissimo, è bello agitarsi con tutta questa bellezza attorno, proprio dove Carlo Didimi tirava le sue saette ed è solo l’inizio di un weekend memorabile, già mi vedo domani lo specchio della Traviata di Svoboda che si alza e riflette il pubblico e tra due giorni il mio amatissimo Vick col suo nuovo Flauto Magico in italiano e con cento cittadini del mondo, donatori di tempo e di amicizia, ma questa è un’altra storia, ora dobbiamo soltanto ballare, a Macerata abbiamo trovato il nostro elisir d’amore e speriamo che l’effetto non passi mai e comunque il Governo dovrebbe togliere le tasse sul Varnelli, molto prima della flat tax l’antidoto alla decrescita infelice è proprio questo e anche più festival e più librerie e più piccioni ripieni per tutti.