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Finalmente Mara

Simonetta Sciandivasci

La zia degli italiani. La signora dell’allegria. La bionda incontenibile. E la Rai che se la riprende e già la rimprovera

Che stato soave i sessant’anni. Che stagion lieta. Lo dicono le ricerche, che saranno pure diventate un po’ troppo mercenarie, ma mentire non mentono, al massimo possono semplificare, che solo certe volte è un mentire un po’ peggiore. Con le ricerche concordano anche il dì di festa all’italiana, la domenica pomeriggio in casa, e la sua maratona televisiva su Raiuno, Domenica In, che quest’anno è tornata cosa di Mara (Venier, naturalmente), cancellando gli ultimi quattro anni senza di lei. Quando Cesare Cremonini scrisse Marmellata#25, quella canzone che fa: “Da quando Senna non corre più, da quando Baggio non gioca più, da quando mi hai lasciato pure tu non è più domenica”, era il 2005 e lei era al terzo anno del suo secondo Domenica In, altrimenti magari Cremonini ci avrebbe messo anche “da quando Mara non conduce più, non è più domenica”.

 

La Rai è casa sua. Lasciate che rianimi gli italiani, è lei l’unica che può farlo con un po’ di classe, in tailleur blu da direttrice di museo

La più bella dichiarazione d’amore l’ha fatta a Jerry Calà, che era un adultero seriale: “Sei un disgraziato però te vojo ben!”

“Eccomi qua, e già, io sono ancora qua”, ha cantato lei, entrando in studio, con la voce di Vasco (un altro sessantenne) a palla, domenica scorsa, per la prima puntata di questa nuova stagione che però è già diventata incerta per colpa di un cunnilingus. Non scaldatevi, non è come pensate, procediamo per gradi. Mara Venier saluta tutti, ringrazia, ricorda Fabrizio Frizzi, augura buona fortuna ad Antonella Clerici e a Massimo Giletti, lo fa con la voce che le trema un po’ di paura. Di fallire? Non tanto: a quello è pronta, s’è già premurata di dire ai giornalisti, qualche giorno prima di andare in onda, che se il programma dovesse andar male se ne assumerà lei la responsabilità. Teme d’esagerare, di non riuscire a trattenere qualche tiè! – e di cos’altro si può avere paura se non di questo, a sessant’anni: di essere incontenibili, di osare troppo senza volerlo, senza accorgersene, senza cattive intenzioni, ora che a sessant’anni si comincia a vivere al meglio, e tanti saluti a Mimnermo e quelli come lui, che consigliavano di farla finita proprio a sessant’anni, perché la vita doveva durare, secondo certi poeti classici, fintanto che durava la vigoria sessuale. E invece lei resiste ed è perfetta, in fondo s’è sfogata cantando Vasco e chi doveva capire ha capito: non mi leverete da qua finché campo, questa è casa mia, è il paese che mi vuole, la pensione non esiste, la vecchiaia neppure, una vera donna non invecchia mai, lasciate che io rianimi gli italiani, sono io l’unica che può farlo con un po’ di classe.

 

Di signorile, compatta resistenza Mara Venier è anche vestita: ha un tailleur elegante, da direttrice di museo, scuro nonostante sia pomeriggio, un blu cerimonia che non brilla da nessuna parte (lei non è mica Barbara D’Urso, lei ammette qualche luccichio, qualche glitterino solo sotto la caviglia o appena sopra). L’orchestra suona e canta molti “Bentornata, zia” e il salotto comincia. Gli italiani sono ancora al dolce e lei porta sul loro tavolo il #metoo, divide il pubblico in pro e contro Asia Argento, si mette gli occhiali, si collega con Vittorio Feltri che dice: “Il sesso orale necessita, per esser fatto, di un consenso bilaterale”; “Perché mai spaventarsi davanti a una passera”; “Stiamo facendo tragedie per nemmeno una scopata”. In studio c’è Giampiero Mughini che a un certo punto usa la parola cunnilingus. Michele Anzaldi della commissione di vigilanza Rai s’inquieta parecchio – non sia mai che qualche minorenne si decida ad aprire un vocabolario, per di più per cercare cosa accidenti sia un cunnilingus! – e, qualche giorno dopo, allerta l’ad della Rai, Fabrizio Salini e pure l’Agcom, con un’infuocata letterina dove informa che su Raiuno è andata in onda una lezione di pornografia in fascia protetta, per di più di domenica, quando “Le famiglie sono ancora a tavola o comunque riunite con nonni e nipoti”. Un’insopportabile lesione dei diritti dei minori. Mara Venier reagisce dicendo al Corriere: “Non conosco Anzaldi, ma sono felice di incontrarlo quando vorrà e sono pronta a farmi dare delle indicazioni. Si scandalizza se uno dice passera?”. Chissà se lo sa, Mara, che ormai ci si scandalizza per molto meno e il sesso orale pronunciato in latino può scipparti il programma. E così adesso lo sa. Il teatrino inquisitorio è iniziato giovedì, chissà come andrà a finire, come reagirà Mara, se si presenterà in studio imbavagliata, o vestita da Mirandolina, la licenziosa eroina goldoniana spiritosa come lei, o svestita da Femen, o vestita come sempre e però cantando una canzone un po’ spinta, tenendoci tra le sue tette, un po’ mamma e un po’ porca com’è. Prima di essere zia, una zia ibrida, l’incontro pazzo di quella che (in tutte le famiglie ce n’è una) porta i nipoti a fumare tra una portata e l’altra del pranzo di Natale, e la vecchia zia (“ci salveranno le vecchie zie”, diceva Longanesi, che le ritrasse spietatamente come “custodi dell’ordine classico”), Mara Venier è stata il sogno erotico di molti italiani. Lunga di gambe, di capelli, d’altezza, di carriera: il primo Domenica In l’ha condotto che aveva trentanove anni e non la conosceva quasi nessuno, se non gli appassionati di filmetti un po’ così. Era il 1993 e al cinema arrivò “Pacco, paccotto e contropaccotto” di Nanni Loy, che la volle nell’episodio “Cuore di mamma”. La storia era questa: un ragazzino molto somaro a scuola decide, per farsi promuovere in matematica, di far sedurre il suo professore da una signora molto provocante che, dietro lauto pagamento, si spaccia per sua madre. E’ una parte che a Mara Venier viene benissimo: per farla c’è bisogno della sua bellezza invadente e della sua incapacità di prendersi sul serio, di essere femme fatale e del suo talento più formidabile: l’allegria.

 

“So’ tutta vera”, disse una volta ad Aldo Busi: lui era all’Isola dei Famosi e, durante una diretta televisiva, diede di matto e decise di andare via. Per tentare di calmarlo, gli passarono Mara, che gli manifestò solidarietà, gli diede ragione, insomma fece la zia, illudendosi che Busi fosse un bisbetico domabile come molti altri. Invece era Busi (peraltro ammaccato da giorni trascorsi in cattività su un’isola, a procurarsi da mangiare e dividere il cibo con individui a cui, in condizioni meno disagiate, avrebbe comminato violente pene corporali per ogni congiuntivo sbagliato). Le disse che era rifatta. Lei, che non s’arrabbia mai, lo mandò al diavolo e pretese le scuse sue, della conduttrice, della trasmissione, del canale, della rete. Perché è vero che è vera. Vera come la finzione e quindi perfetta, adatta a tutto. Nel 2014, Silvio Berlusconi la incontrò a cena a casa di Alfonso Signorini e le propose di candidarsi a sindaco di Venezia, la sua città. Lei rispose: “Ma Presidente, proprio ora che ho cominciato a lavorare per Mediaset, e mi diverto come una pazza, mi fa questa proposta?”. E quindi niente, non se ne fece niente e Venezia rimase la “dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi” che era e che è. La Rai che, a proposito di fenici, è la Venezia della televisione, ha scelto lei non a caso, ora che è rinvenuta dalla ceneri, ora che i giornali di mezzo mondo scrivono delle sue fiction. Non poteva che tornare lei, la zia febbrile che non s’ammala mai, a occuparsi degli anziani soli davanti alla tv, a tentare di strappare gli italiani a Barbara D’Urso o a spingerli allo zapping tra Canale5 e Raiuno (non smetterà mai d’esser vero che “nella vita comandi fino a quando hai stretto in mano il tuo telecomando”), a riunire le famiglie davanti a quiz molto fessi dove la sola cosa che conta sono le vite di chi chiama, da paesini appenninici mai sentiti (quasi mai nessuno che chiami da Roma o da Milano), da stanze con l’eco, da telefoni fissi, da famiglie che sognano in piccolo, che non vogliono diventare milionarie e s’accontentano di parlare con Mara.

 

Finiti i quaranta minuti e passa di trasmissione dedicati ad Asia, domenica scorsa, Venier ha cambiato occhiali per leggere meglio il gobbo, ha letto il numero e ha invitato gli italiani a giocare al suo “quiz nostalgia”, introdotto da una letterina seminuda, una citazione vivente di Jessica Rabbit, una figurina che, se fosse stata convocata da un maschio, avrebbe ispirato decine di articoli su come la mascolinità tossica detti la linea di tutto, in Italia, persino dell’intrattenimento televisivo per famiglie (il femminismo metooista ha molti punti di contatto con l’Agcom). La ragazza è Alessia Macari e non ha l’espressione di una vittima di sottomissione di patriarcale, è più una vittima – felice – della Ciociaria. Il primo a chiamare è Luca, uno studente di ventisette anni. “Ti piace Alessia?”, gli domanda Mara. Lui dice sì, lei prova a imbandire un flirt tra la sua letterina e il suo concorrente, ma la zia longanesiana ha subito il sopravvento su quella un po’ porca com’è e allora si accerta: “Sei fidanzato?”. Il ragazzo non sa cosa essere e allora ci pensa Mara: “E’ lei che non ti vuole, amore della zia? Vuoi che ci metta una buona parola? Come si chiama la tua ragazza? Chiara? Senti, Chiara, Luca è un bravo ragazzo, è perbene, in giro è pieno di donne che vogliono rubartelo, tienitelo stretto!”. Su Twitter è tutto un far meme e hashtag di questa scenetta e, se non fosse per questo dettaglio, si direbbe che l’Italia è tornata al 2002 o, almeno, che il #metoo s’è fermato a San Babila. L’Italia è tornata al 1994 ed è ancora più evidente nella telefonata successiva, quando Mara aiuta una concorrente indicandole la risposta esatta, tra le due che le propone, con uno sguardo eloquente. Lo fa in modo così plateale che se ne rende conto e, per rimediare, recita un capolavoro: “Oh, ma ho commesso un errore terribile!”, dice, e tutti pensano che stia per scusarsi del favoritismo, quando aggiunge: “Non ho salutato il notaio!”. E tra le braccia del notaio corre, a farsi stringere, a farsi dire che sì, si sta comportando bene, benissimo, perfettamente, da regolamento vivente. Il lusso d’esser smisurate possono concederselo solo quelle che, anziché scusarsene, si rendono irresistibili. Quelle che non addomesticano niente, però studiano tutto. Le incontenibili. Mara Venier ha la fobia della misura, del contenimento, della pausa, della chiusura. Odia volare, che è la cosa più claustrofobica che ci sia (pensateci). Odia le scarpe (in casa è sempre scalza). La scorsa estate, in una delle centinaia di Instagram story con cui ha preparato al suo ritorno anche i più giovani e portato su Instagram i meno giovani – del sostegno caloroso di entrambe le categorie ha fornito le prove in trasmissione: video su video di fan impazziti, eccitatissimi per il suo ritorno, tutti condivisi e recapitati presso hashtag – s’è filmata mentre rideva per esser rimasta “incastrata” in una maschera per il viso. Rideva. Di terrore. “Incastrata” – così ha detto lei – in sei bende diventate cemento (e noialtri a scriverci, per ore, preoccupati e allegri, e in questo contagiati da lei: ma come starà Mara, ma si sarà liberata Mara; proprio come quando ha fatto finta d’essersi tagliata i capelli, d’essersi fatta un caschetto, gettandoci nel panico, perché se anche Mara si fa il caschetto del rigore, diamine, chi altri ci resta, per esagerare tantissimo?).

 

Il lusso d’esser smisurate possono concederselo solamente quelle che, anziché scusarsene, si rendono irresistibili, come lei

“Proprio ora che a Mediaset mi diverto?”, rispose a Silvio Berlusconi che le proponeva di candidarsi a sindaco di Venezia

Quanta allegria, signora Venier.

 

Magari ad agosto stavate realmente divertendovi in vacanza e non vi siete accorti dello strepitoso romanzo visivo che ha girato lei, ogni giorno, a beneficio di tutti, compresi quelli che si vergognano di accendere la televisione e quindi si appiccicano a Instagram. Lei a bordo piscina, lei dall’estetista, lei che bacia in bocca sua figlia, lei che canta, lei che dichiara amore eterno a suo marito, lei che si fa sbattere il portone in faccia dal nipote, lei che monta sulla finestra del suo terrazzino sui tetti di Roma centro e lava i vetri, in jeans e camicia.

 

Ad aprile scorso, s’è fotografata tra le braccia di Jerry Calà e ai millennial s’è spezzato il cuore. Era tornato, per un pomeriggio, il solo matrimonio venerato dalla generazione che schifa le nozze ma segue due giorni di dirette social da quelle di Chiara Ferragni. La coppia degli anni Ottanta, naufragata perché lui era un adultero impenitente e lei – lo ha raccontato di recente, seduta di fianco a lui, ridendo come sempre – lo andava a recuperare nei night club, dove lo trovava circondato da ragazze mezze nude, sempre le stesse, che avevano imparato a riconoscerla e, appena la vedevano arrivare, scappavano via. E allora restava solo Jerry e lei gli gridava una bellissima dichiarazione d’amore: “Sei un disgraziato ma te vojo ben!”.

 

Ce la scriveremo sulle magliette, in caso dovesse esserci bisogno di scendere in piazza, far picchetti, manifestare, per salvare la zia dall’Agcom.

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