Che noia i fantastici cinque di Netflix che insegnano agli etero a essere gay

Manuel Peruzzo

Queer eye è il reality show diseducativo dove tutti devono essere liberi d'essere ciò che sono, tranne i trumpiani

C’è Tom, un cinquantasettenne sovrappeso con la psoriasi che è sopravvissuto a tre divorzi, una dieta a base di cibo messicano e litri di margarita fatti con il liquido della batteria. C’è Neal, un programmatore che pare Bin Laden in versione metallaro e che vive in una moquette di peli del suo cane, l’unico dal quale sopporta il contatto. C’è il poliziotto, Cory, che sembra Peter Griffin: va a cena in tuta e ciabatte e organizza frat-party nel seminterrato. Sono tre protagonisti del makeover reality show Queer Eye, che è un reboot di un programma degli anni 2000, Queer Eye for the straight guy, da noi i Fantastici Cinque, su Netflix. Cinque esperti in moda, cucina, cultura, design e cura del corpo il cui talento più grande è farti tornare di un colore vagamente normale con un opacizzante e mentirti dicendoti che sei sexy, che devi avere più autostima, che sei bellissimo. È un programma diseducativo. 

      


     

L’esperto di moda toglie a Tom il cappellino da baseball e gli porge un basco trasformandolo in George R.R. Martin: “Tutti questi colori esaltano i tuoi occhi”, gli dice mostrandogli orrende camicie pastello mentre lui annuisce imbambolato e fiducioso. Uno pensa che arrivato a una certa età ci si possa concedere il lusso di fregarsene e imbruttirsi sulla poltrona reclinabile piena di macchie, vivendo in una casa a prova di figa e dove l’unico sollazzo erotico pare essere evocato da un asciugamano appeso alla testata del letto. E invece no. Perché bisogna persistere nel mito che gli omosessuali siano in grado di “elevarti” e dirti come vivere. Quindi hai una serie di casi umani senza gusto che si lasciano manipolare da cinque finocchie con cattivo gusto. Eccola la mascolinità tossica di cui si ciancia tanto: ma è quella gay. 

       
C’è l’esperto in cucina che ti insegna a preparare i toast. C’è l’esperto in design che ti trasforma casa in un Airbnb del Marais. C’è l’esperto di bellezza che ti riempie di creme opacizzanti e salterella per la casa sentendosi Beyoncé (ma se gli chiedi "chi è l'uomo e chi la donna" in una coppia ti risponde che sei vecchio, che mica ci sono i ruoli, che è tutto sfumato). C’è l’esperto in fashion che se non ti veste da Soprano ti concia da cast di Big Bang Theory. C’è poi l’esperto in cultura: il life coach nero che ti insegna a muoverti e avere sicurezza in te stesso, che deve essere l'idea di cultura americana (poi si lamentano dell'appropriazione culturale). Di queer per come lo si intende nei gender studies non c’è nulla, anzi è l’esatto opposto: non c’è nulla di sovversivo nella visibilità di cinque gay in televisione. Sono molto più queer gli etero che si ritrovano a essere uniformati, modificati, conformati da queste cinque versione nazi di Tata Lucia. 

     
Siamo in Georgia, stato repubblicano. Alla terza puntata abbiamo il maschio trumpiano, Cory, un poliziotto fuori forma di trentasei anni, 182 per 130 kg. Li accoglie in pantaloncini con la bandiera americana. Cory passa le serate romantiche con la moglie da Walmart, e l’esperto in cultura gli suggerisce di andare in un museo o a teatro. (La logica deve essere questa: perché non ti annoi in luoghi rispettabili?) Per divertirsi organizza feste nel seminterrato foderato di plastica per essere impermeabile al vomito. Al piano di sopra troviamo la moglie: si sono conosciuti in discoteca, lui le ha messo la mano sul culo. Ora hanno due figlie. “Cosa ne pensi del seminterrato?” chiedono i fantastici cinque, “Me ne vergogno”, risponde lei.

      
Chi ha convinto Cory che un bel vestito migliorerebbe il suo matrimonio? Se hai passato anni senza usare il filo interdentale o contorni occhi, come arrivi al punto in cui senti di averne improvvisamente bisogno? Non si sa. Cory dimostra comunque d'essere meglio dei suoi aguzzini in più di un'occasione (adorabile il momento in cui tenta di spiegare al nero che solo perché è un poliziotto non significa che sia un violento razzista). Ma ovviamente il programma non è solo la versione gay di Cenerentola. Questi uomini sono divorziati, single (forse vergini), e reclusi nel seminterrato da mogli che non permettono loro di appendere al muro di casa le foto dei propri genitori. Il soggetto forte sono gli omosessuali, un tempo bullizzati e oggi bulli dal volto buono, che ti spiegano come comportarti per essere meno bifolco (cioè dicono di usare l'olio di cocco per togliere l'odore di aglio dalle mani a uno che beve il liquido dei sottaceti). Il maschio occidentale è l’emarginato, l’outsider, il soggetto autenticamente queer che chiede disperatamente d'essere integrato per non morire. Tom, il protagonista con psoriasi della prima puntata ha twittato d’aver visto l’episodio oltre venti volte e di piangere sempre. Peccato non gli sia servito a riconquistare Abby, la sua ex moglie. 

 

      
Ma non si limitano a insegnare agli etero a essere gay ma anche ai gay non dichiarati a essere più gay. Nella quarta puntata prendono un nerd timidino discreto, AJ, che tiene un chest harness nell’armadio, cioè un’imbracatura fetish mutuata dall’immaginario porno anni ’70 leather: roba con cui dondolarsi su una sling (questa non ve la spiego) e simbolicamente gliela tolgono dal closet, facendolo sfilare con quella di fronte a loro. E la preparazione al momento melò del coming out con letterina al padre morto, letta di fronte alla madre: nessun problema, la mamma lo capisce. I fantastici cinque gli hanno ridipinto casa, comprato magliette slim fit, insegnato a risvoltarsi i pantaloni.

     
In una parola: lo hanno rovinato. Era molto più sexy prima di quest’orgoglio identitario, purtroppo era anche più infelice perché la sessualità in occidente è parte della nostra identità. In quel momento lo spettatore liberal si commuove perché finalmente AJ è libero di essere ciò che realmente è: uno che girerà in pubblico con le briglie fetish. Un pensiero al simpatico poliziotto trumpiano: il suo cappellino “Make America Great Again” sarà finito nell'armadio. Non tutti possono essere liberi d'essere ciò che sono.

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