(foto Ap)

L'editoriale dell'elefantino

Le auto elettriche che non vanno per il freddo e altre sorprese, buffe o sgradevoli, della tecnologia

Giuliano Ferrara

Il cimitero delle Tesla in atmosfera molto fredda è un avviso di burrasca anche per noi ottimisti e razionali che immaginiamo l’evoluzione tecnologica come una foresta di simboli e possibilità senza timore di sorprese sgradevoli

La notizia dice che abbiamo costruito un modello elettrico di automobile per combattere il riscaldamento ma a meno diciotto gradi succede che non possiamo più ricaricare le sue batterie. “Qui è pieno di cadaveri di robot”, è stato un commento fatto a Chicago, dove il fenomeno paradossale del collasso del motore a batteria si è verificato su scala maggiore. Le tecnologie sorprendono. Passano l’esame a pieni voti, servono a scopi formidabili, automatizzano o comunque modificano il comportamento delle macchine, influiscono in modo clamoroso sulla vita comune, incidono sulla memoria umana integrandola e svuotandola, che non è poca cosa, stabiliscono catene di dipendenza, promuovono ceti comunicazionali, chiamiamoli così, di cui sfugge il senso e non si capisce il preciso significato, modificano il modo di pensare il mondo, cambiano tutti i parametri dell’economia ma riservano sorprese anche buffe, elementari. 

 

Ora tutti parliamo dell’intelligenza artificiale (IA) e il presupposto della discussione accanita e universale è che ne sappiamo molto poco. Immaginiamo qualcosa, intuiamo, azzardiamo concetti relativi al suo futuro immediato e a medio termine, intessiamo quel che si dice una “narrazione”, siamo vittime di pregiudizi, stati d’animo, cogliamo pericoli e grandi opportunità, come sempre si spera all’applicazione benevolente in campo medico, sociale, e si scongiurano effetti apocalittici in campo militare o nell’assetto civile di comunicazione, movimento, vivibilità dell’ambiente tecnologico. Il risultato è che alla fine della discussione ne sappiamo meno di quanto ci era intuitivamente noto all’inizio, e l’unica cosa sicura è che l’IA si presenta come una tecnologia delle tecnologie, un’ala stesa sulla nostra vita che si spera non si riveli alla Baudelaire come la famosa “ala dell’imbecillità”, citata in un crescendo poetico nell’autoritratto maledetto “Mon coeur mis à nu”.

 

Tutto dipende dalla nostra capacità di controllo, si sospetta o si spera. Ma che un drone possa servire alla consegna rapida di una merce o alla distruzione fulminea di un carro armato o di una casa è una nostra scelta fino a un certo punto. La radioattività molesta chiusa in una valigetta e smerciata a scopo terroristico a Manhattan sembra un reperto di un’altra epoca, eppure dopo l’11 settembre era questo il grande rischio metropolitano temuto dalle agenzie di sicurezza. Sperare nell’IA e temerne gli effetti è uno stesso movimento mentale, non so quanto umanamente intelligente, e cercare di fare in modo che le numerosissime commissioni di ricerca e di regolamentazione messe in piedi dagli stati e dalle amministrazioni tengano presente la possibilità di una sorpresa, magari più devastante della morte per freddo dei robot elettrici di Chicago, bè, questo viene abbastanza naturale.

Il circolo vizioso di fronte al quale ci troviamo è di rendere prevedibile, dunque controllabile, qualcosa che forse non appartiene ai criteri della scienza sperimentale costruita come tecnica e filosofia negli ultimi secoli. Era prevedibile che il cannocchiale di Galileo sarebbe arrivato alla dimensione di un telescopio capace di fotografare il più antico buco nero dell’universo, o così pare. Il futuro dell’algoritmo sembra a occhio e croce meno prevedibile e dunque controllabile. Il cimitero delle Tesla in atmosfera molto fredda, in sé un incidente tecnologico forse minore e un po’ goffo, è un avviso di burrasca anche per noi ottimisti e razionali che immaginiamo l’evoluzione tecnologica come una foresta di simboli e possibilità senza timore di sorprese sgradevoli.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.