Frontiere inesplorate

Ecco come l'Intelligenza artificiale vuole farci passare la "gobba da smartphone"

Filippo Lubrano

Alla nuova tecnologia non bastano più i modelli linguistici, ma si basano anche sulle azioni. La "spilletta" intelligente e la novità del dispositivo R1

Taipei. Se il 2023 è stato l’anno in cui ci siamo accorti delle AI perché parlavano letteralmente la nostra lingua, nel 2024 sembra che dalle parole  passeranno ai fatti. La tecnologia che ha abilitato strumenti quali ChatGPT è quella dei Large Language Models (modelli linguistici di grandi dimensioni), ma il trend che pare emergere dalla Silicon Valley è quello di una evoluzione verso i Large Action Models (Lam), ovvero modelli in grado non solo di comprenderci e di farsi comprendere, ma di compiere azioni per conto nostro.

Siamo ancora distanti dalla sceneggiatura del film di Spike Jonze Her, ma il cambio di paradigma all’orizzonte è un ulteriore tassello evolutivo se non verso la famosa AGI – l’intelligenza artificiale generale, quella meglio di noi – almeno verso assistenti digitali sempre più capaci, e che cambieranno  il nostro modo di interagire con la tecnologia. I primi a scommettere su questa evoluzione è stata l’azienda Humane, che un paio di mesi fa ha attirato su di sé parecchie attenzioni presentando il suo “AI Pin”, una spilletta priva di schermo che prometteva di non farne sentire la mancanza nell’operatività di tutti i giorni, in una sorta di evoluzione estrema degli assistenti più diffusi, ovvero Siri, Alexa e Cortana. I due fondatori, fuoriusciti da Apple, scommettevano su un oramai imminente abbandono degli schermi da parte degli utenti, anticipando – forse un filo di troppo – i tempi. L’AI Pin mostrava alcune funzionalità per cui effettivamente un dispositivo di visualizzazione non serviva (tra tutte, la traduzione in tempo reale in varie lingue, che almeno nel trailer sembrava convincente), e proponeva di supplire alla mancanza di schermi con una strana proiezione monocolore abbastanza innaturale da visualizzare sul palmo della propria mano, per svolgere alcune operazioni. Humane prevede di cominciare le consegne del suo dispositivo nel primo trimestre di quest’anno, ma nel frattempo ha licenziato il 4 per cento della sua forza lavoro: non il migliore degli auspici.

La spinta verso un nuovo modo  di interagire con gli strumenti tecnologici sembra però aver trovato nuova linfa in questi giorni al CES di Las Vegas. La sensation dell’evento  è stata la startup Rabbit, che ha presentato il suo “r1”, un dispositivo rivoluzionario che si candida come una ben più solida alternativa ai cellulari. R1 permette di utilizzare l’AI al suo interno non solo per interrogarla oralmente e ottenere risposte à la ChatGPT, ma per compiere delle azioni. Nel sito estremamente minimalista di Rabbit, il ceo e fondatore  Jesse Lyu presenta in un video alcuni casi di utilizzo reale nella vita di tutti i giorni: una volta interfacciato con le proprie app, è per esempio sufficiente chiedere al dispositivo di ordinare una pizza per vedersela recapitata a casa poco dopo. Lo stesso vale per prenotare un Uber, tagliando notevolmente i tempi di utilizzo che si avrebbero facendo la stessa operazione con uno smartphone, o per riprodurre musica. Le cose si fanno più interessanti quando si alza l’asticella: se gli si chiede “pianificami un weekend per tre persone a Londra” r1 provvede in autonomia a prenotare i voli più convenienti, gli hotel e propone un programma di viaggio coerente con i propri gusti. Lyu mostra infine nel suo speech la funzione “vision”: inquadrando il frigorifero r1 è in grado di analizzare il suo contenuto e proporre delle ricette – per cucinarle, al momento difetta ancora di un corpo d’appoggio. Il prodotto di Rabbit dispone sì di uno schermo, ma l’intenzione comunque rimane quello di usarlo solo quando è strettamente necessario: un cambio di paradigma non trascurabile se consideriamo che secondo un’analisi di Reviews.org lo statunitense medio passa quattro ore e mezza al giorno davanti al suo smartphone, tirandolo fuori dalla tasca in media 150 volte nell’arco della giornata.

I fondatori di Rabbit pongono molta enfasi sul fattore privacy, rivelando anche dettagli circa il processo di autenticazione, che rimane relegato all’interno delle singole app invocate dal sistema. La sensazione è che oggetti come r1 non siano rivoluzionari tanto per la componente tecnologica in sé – in fondo, siamo davanti solamente a un ottimo integratore di app e funzionalità già esistenti, rivestite e ottimizzate in una maniera intelligente. Il vero portato di innovazioni come quella del team di Lyu è invece nell’interfaccia utente. L’avvento dei Lam promette già di per sé di accelerare drasticamente lo svolgimento di molte delle nostre attività routinarie, ma il vero valore aggiunto sta in quanto  promettono di mutare il nostro rapporto con le appendici tecnologiche. Sarà questo il modo in cui le nuove generazioni si libereranno della cosiddetta “gobba da smartphone”? Il posizionamento commerciale è sufficientemente democratico da poter ipotizzare un’adozione se non almeno inizialmente di massa, comunque significativa. Lyu nel suo keynote parla direttamente dei suoi competitor, nominandoli uno a uno: dall’iPhone ai Rayban di Meta, passando proprio per l’AI Pin di Humane. Tutti sono posizionati su fasce di prezzo elevate: dal migliaio abbondante di dollari degli iPhone fino ai 699 dell’AI Pin. R1 esce invece a 199, e non è un caso che i primi 10 mila esemplari siano andati sold out nel corso del CES, battendo ogni più ottimistica previsione. Dopo una prima fase in cui i primi 100 milioni di utenti sono stati semplici da raggiungere anche per il ben radicato modello di business freemium, per uscire davvero dagli schermi e radicarsi ancor di più nella nostra vita quotidiana, le AI avranno bisogno anche di tattiche commerciali di questo genere.

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