Le mosse di Pechino

La Cina introduce nuove regole ma non riesce stare al passo con l'IA generativa

Priscilla Ruggiero

La discussione sul copyright, i cloni virtuali nelle dirette streaming e il problema della censura. Perché le piattaforme cinesi non sono ancora all’altezza di ChatGPT

L’obiettivo della Cina di diventare “leader globale”  nel campo dell’intelligenza artificiale nel 2030  è stato stato fissato da Pechino già nel 2017, ma le sfide più difficili per il raggiungimento si sono presentate lo scorso anno, con l’arrivo di ChatGPT e i modelli generativi occidentali. Ormai da mesi le autorità della Cyberspace administration of China, l’ente regolatore cinese di Internet, presentano e approvano  nuove norme e linee guida per regolamentare il settore tecnologico. Dopo che le piattaforme di social media come Douyin, la versione cinese di TikTok, e la piattaforma di streaming video  Bilibili hanno iniziato a richiedere la dicitura “generato dall’intelligenza artificiale” sotto i video per distinguerli dai contenuti “originali”, questa settimana un tribunale cinese ha deciso di riconoscere il copyright per alcune immagini generate dall’IA. La decisione, che inquadra un contenuto IA come “un’opera artistica” basata sull’“originalità” e sull’input intellettuale del suo creator umano, ha riaperto la discussione – non solo in Cina – se tutti i contenuti generati dall’intelligenza artificiale debbano essere protetti da leggi sul copyright. 

 

In settori come le piattaforme di e-commerce e nelle live-streaming cinesi l’intelligenza artificiale, in particolare con i video “deepfake”, funziona  benissimo: nelle live-streaming – le dirette utilizzate come piattaforme pubblicitarie per vendere prodotti, popolarissime in Cina ormai da anni – gli influencer e i piccoli imprenditori cinesi  utilizzano sempre di più i propri cloni virtuali creati dall’IA. Anche quello dei deepfake sulle piattaforme cinesi è però un settore in continua evoluzione e soggetto alle regolamentazioni delle autorità della Cyberspace administration. Se in un primo momento Pechino aveva adottato una posizione più cauta e tollerante nei confronti dell’IA per accelerare lo sviluppo  e stare al passo con gli Stati Uniti, adesso, secondo alcuni esperti, starebbe aumentando il controllo sulle aziende tecnologiche cinesi e lavorando a numerose misure per la gestione dell’intelligenza artificiale generativa. Anche in settori come quello della ricerca scientifica, sono state pubblicate nuove linee guida che vietano di usare “direttamente” l’IA generativa nella richiesta di finanziamenti e di approvazione per le ricerche. 

 

Secondo Kevin Xu, autore della newsletter tecnologica “Interconnected”, la Cina, a parte   la piccola cerchia elitaria di imprenditori tecnologici e accademici di intelligenza artificiale, vedrebbe nell’intelligenza artificiale generativa “più rischi che benefici”. “Il governo, in particolare, sta cercando di capire tra il potenziale a lungo termine dell’IA generativa e i suoi effetti deflazionistici e destabilizzanti a breve termine”, scrive su “Interconnected”. Gli esperti tecnologici notano come ancora oggi i modelli generativi cinesi non sembrino essere all’altezza di ChatGPT e si trovino ad affrontare molti più  problemi strutturali rispetto ai modelli occidentali: i bot come Ernie di Baidu o  Tongyi Qianwen di Alibaba hanno spesso moltissime lacune dovute sia alle difficoltà linguistiche sia ai muri posti dal    Great Firewall, la censura del governo cinese che obbliga a non rispondere ad alcune domande o rispondere secondo “i valori fondamentali del socialismo cinese”, cioè   riflettendo il pensiero del Partito comunista cinese. Nella promozione di questi valori e nell’ottica di rendere il Partito “più attraente” online a tutte le fasce di età l’IA cinese sembra non incontrare alcun freno, anzi viene promosso e implementato,  ma per molti aspetti, anche a causa della censura,    l’internet cinese fa ancora fatica a stare al passo con i modelli generativi americani e “l’obiettivo 2030” sembra sempre più lontano.

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