Da Twitter a Netflix

Anche i giganti soffrono

Stefano Cingolani

Big Tech, piattaforme e compagnie low cost all’esame di maturità. Il modello nuovo che serve e i ritardi della politica

Twitter sedotta e abbandonata dopo tre mesi da Elon Musk il cui gioiello, Tesla, ha registrato una riduzione delle vendite trimestrali per la prima volta in due anni. Arriva anche l’Ubergate che svela le manovre della compagnia di noleggio digitale per accaparrarsi favori: i tassisti stappano birrette a Roma e champagne a Parigi, assediano Palazzo Chigi e inveiscono contro l’Eliseo. Poi gli scioperi ad Amazon e a Ryanair, amaro risveglio per i due campioni del mondo globale a basso costo. Netflix non è più Netflix, perde sottoscrizioni e vuol fare ricorso alla pubblicità. Google e Facebook hanno smesso di assumere. Le criptovalute sono a un punto di svolta, attaccate dalle banche centrali e abbandonate dagli speculatori delusi. Che cosa succede ai protagonisti della Grande trasformazione? Siamo giunti in cima alla piramide tecnologica e adesso non resta che scendere, senza sapere come? Oppure è una crisi di maturità, quindi dobbiamo aprire la bibbia dei corsi e ricorsi economici? Ciascuna delle storie che raccontiamo ha la propria identità, eppure tutte sembrano seguire un percorso comune.

La ritirata strategica di Elon Musk ha affondato a Wall Street il titolo Twitter che ha perso l’11 per cento in una sola seduta bruciando 3,2 miliardi di dollari. Furiosi, i vertici della società si sono lanciati in una battaglia giudiziaria, sguinzagliando i propri legali i quali chiedono un mega risarcimento, d’altra parte l’accordo raggiunto valeva qualcosa come 44 miliardi di dollari. Una delle più grandi acquisizioni nella storia si è trasformata in un gigantesco flop. Non c’è dubbio che Musk si sia dimostrato a un tempo rude e volubile, questo del resto è il suo stile. Ma quando l’intesa venne annunciata in molti sollevarono dubbi che poi hanno preso corpo: il primo è quanti account fasulli e sulfurei si nascondono sulla piattaforma, il secondo riguarda la possibilità di fare a meno della pubblicità che rappresenta oggi la quasi totalità degli introiti, magari introducendo una sorta di abbonamento, infine il sospetto su quanti di quei 44 miliardi sarebbero stati sottratti a Tesla nel momento in cui il gioiello della corona, arrivato finalmente a fare profitti, si trova ad affrontare una concorrenza ampia e agguerrita dall’Asia (non solo dai produttori giapponesi e coreani, ma anche dalla Cina) e non si vedono magnifiche sorti per l’auto elettrica in Europa dove le imprese automobilistiche premono per rallentare la marcia, salvando le vetture diesel e potenziando l’ibrido. Le due fabbriche aperte in Germania e in Texas si sono rivelate “gigantesche fornaci di denaro”, ha dichiarato il magnate sudafricano mentre SpaceX sta perdendo miliardi di dollari sul programma Starship, il pionieristico razzo riutilizzabile.

 

Musk è stato forse precipitoso e persino ingenuo, ma non è certo lui ad aver messo in crisi Twitter. “Sebbene sia uno dei social più utilizzati, ha mancato di trasformare la sua influenza in un business di successo”, ha scritto l’Economist il quale non esita a parlare di “fallimento industriale”: infatti ha fallito nell’attrarre nuovi utilizzatori e questo è gran parte del suo problema. Mentre Facebook, fondato due anni prima, nel 2004, ha raggiunto 1,9 miliardi di utilizzatori, Twitter è rimasto a 230 milioni e nel frattempo i più giovani si sono orientati verso il cinese TikTok. Quanto alla torta pubblicitaria, Facebook e la “sorella” Instagram ne hanno mangiata una fetta pari a un quinto, TikTok quasi il 2 per cento, Twitter lo 0,9 per cento. Nel tentativo di diversificare le fonti di reddito, è nato Twitter Blu che per 2,99 dollari al mese dà ai sottoscrittori alcuni benefici in ogni caso molto modesti, scrive ancora il settimanale britannico il cui maggior azionista è John Elkann. E ciò solleva ulteriori dubbi sul progetto di Musk: non c’è abbonamento che possa rimpiazzare, oggi come oggi, la réclame.

E’ il dilemma in cui si dibatte anche Netflix. Nel primo trimestre si sono cancellati 3,6 milioni di utenti, un milione in più rispetto allo stesso periodo del 2021, il risultato netto è stato di duecentomila abbonati in meno su un totale di 226 milioni nel mondo intero, ma si aspetta di perderne altri due milioni. Paramount+, Peacock e Disney+ hanno rappresentato il 51 per cento di tutte le nuove iscrizioni quest’anno. Aprire alla pubblicità può portare nuovi introiti, ma snatura un’impresa che ha cambiato il mondo dell’intrattenimento, ha soppiantato colossi come Blockbuster e ha costretto le grandi major a ripensare completamente le loro strategie, offrendo a milioni di persone la possibilità di accedere a un’ampia gamma di contenuti ad un prezzo basso. Ora la paura è che le difficoltà di Netflix contagino l’intera industria dello streaming on-demand. Nuovo paradigma cercasi, insomma, dopo quello degli anni eroici. 

 

L’Ubergate tira in ballo Macron e Renzi. Hanno commesso abusi e irregolarità? Non risulta, ma bastano i nomi ad aizzare la gazzarra populista

 

Prendiamo Uber. L’eroe dei tassisti è il lobbista irlandese Mark MacGann che ha fatto trapelare i file interni dell’azienda statunitense di trasporto. Ne emerge un sistematico e tambureggiante lavorio nei confronti dei governi di diversi paesi europei allo scopo di ottenere il via libera all’utilizzo su vasta scala del servizio. MacGann conosce bene quel che succedeva, era proprio lui che tra il 2014 e il 2016 guidava la danza anche in Medio Oriente e Africa. Pentito, dichiara: ”Non ci sono scuse per il modo in cui l’azienda ha giocato con la vita delle persone. Sono disgustato e mi vergogno. Avevamo venduto una bugia cercando di convincere i governi che cambiare le regole a favore di Uber avrebbe portato benefici economici a tutti, agli autisti e agli utenti”. I documenti pubblicati dal britannico Guardian e da una serie di quotidiani internazionali tirano in ballo Emmanuel Macron quando era ministro dell’Industria e Matteo Renzi quando sedeva a Palazzo Chigi. Hanno commesso abusi e irregolarità? Non risulta, ma bastano i nomi ad aizzare gli animi e trasformare la protesta in gazzarra populista. In Italia sotto tiro è Mario Draghi, perché i tassisti e i signori delle spiagge sono le categorie cavalcate dalla destra contro “il liberismo selvaggio” e la difesa di privilegi e diritti acquisiti. In Francia Macron è stato confermato all’Eliseo, ma in Parlamento è stretto nella morsa dell’estrema destra e dell’estrema sinistra.

Le star del mondo digitale, intanto, non offrono più sbocchi per i giovani in cerca di lavoro. Google è l’ultima impresa della Silicon Valley a ridurre le assunzioni. In un memo inviato ai dipendenti l’amministratore delegato Sundar Pichai ha scritto che il gigante della rete ha bisogno con la massima urgenza di lavorare in modo più imprenditoriale, con un focus più acuto e “più fame di quanta ne abbiamo mostrata nei giorni solari”. Tradotto: l’espansione è finita, adesso c’è bisogno di produttività e nuove idee. I segnali che vengono dalle aziende high tech sono chiari, scrive il Wall Street Journal: il settore deve combattere con il calo delle quotazioni in Borsa dopo aver guidato per molti anni la carica dei mercati azionari, della crescita, della creazione di valore e di lavoro. In maggio, Meta aveva già detto che avrebbe rallentato le assunzioni mentre i manager di Amazon avevano descritto i magazzini del leader dell’e-commerce come “sovradimensionati”, gettando ulteriore benzina sul fuoco. Il primo sciopero dei magazzinieri e degli autisti è avvenuto in Italia nel marzo scorso, organizzato dai sindacati dei trasporti. Ha avuto un’adesione massiccia, le agitazioni sono continuate a singhiozzo fino a giugno e i dirigenti dell’azienda dopo un primo irrigidimento hanno preso atto della nuova realtà.

 

Pensavano che la pandemia avrebbe ridimensionato per anni i viaggi aerei, è successo il contrario. L’errore opposto di previsione sulle criptovalute

 

E’ quel che non vogliono fare le low cost a cominciare dalla Ryanair. Domenica 17 luglio, in una delle giornate di punta delle vacanze estive in tutta Europa, si bloccano arrivi e partenze perché incrociano le braccia piloti e assistenti di volo nella compagnia irlandese ai quali si sono aggiunti i dipendenti di EasyJet e Volotea più i controllori di volo. L’Assoutenti minaccia denunce, il Codacons parla di scelta irresponsabile e non ha torto. L’intero trasporto aereo ha perso la trebisonda se uno scalo transcontinentale come Heathrow è costretto a decretare  il numero chiuso perché non ha personale sufficiente per far fronte a una domanda fuori controllo. Pensavano che la pandemia avrebbe ridimensionato per anni i viaggi aerei, è successo il contrario. Un errore di previsione che è stato commesso anche nello strano mondo delle criptovalute, seppur in senso opposto perché per anni siamo stati tempestati dalla propaganda sulla nuova dimensione della moneta.

Il Bitcoin ha ceduto in Borsa il 54 per cento tra novembre 2021 e il maggio scorso. La guerra ha fatto da acceleratore, ma il declino era già cominciato dopo la folle corsa durante la pandemia. Secondo un’analisi della società finanziaria Morningstar, infatti, nel 2021 il valore di mercato complessivo delle criptovalute è passato da 965 miliardi di dollari a duemila e seicento miliardi. Oggi la capitalizzazione, stando ai dati condivisi da CoinMarketCap, è tornata intorno ai 900 miliardi. Coinbase, una delle più note piattaforme di scambio, ha deciso di licenziare il 18 per cento della forza lavoro per la crisi dei titoli tecnologici e il ritiro degli investimenti sulle tech company a cominciare proprio dalle criptovalute le quali, altamente volatili, diventate tipico terreno per giochi speculativi pericolosi, sono entrate sempre più nel mirino delle banche centrali e delle autorità monetarie desiderose di mettere il sale sulla loro coda e preoccupate di perdere il controllo della base monetaria effettiva.

Si tratta di monete digitali create attraverso un sistema di codici e scambiate via internet al di fuori dei tradizionali sistemi bancari e governativi. Utilizzano la crittografia per rendere sicure le transazioni e regolamentare la creazione di unità supplementari. Per funzionare hanno bisogno di supercalcolatori e superconsumi, il Kazakistan è diventato un vero eldorado, secondo al mondo dopo gli Stati Uniti, sostituendo la Cina che ha imposto un giro di vite. Il 18 per cento di tutti i calcoli mondiali avviene nel paese asiatico ricco di miniere di carbone che forniscono energia abbondante. Tensioni sociali legate al caro benzina hanno creato seri inciampi, mentre il governo ha bloccato la rete internet per soffocare i disordini. Il sistema, dunque, non solo crea instabilità finanziaria, ma è instabile esso stesso. Sul Sole 24 Ore Adriano Gerardelli, capo dei servizi finanziari di Minsait, società di Indra, leader nella consulenza informatica, ha scritto che è necessario un intervento normativo per regolamentare gli operatori del settore, definire un quadro chiaro sulla tassazione delle attività, introdurre criptovalute sovrane sottoposte alla vigilanza delle banche centrali. La Bce sta discutendo di emettere un euro digitale, complementare alla valuta tradizionale, ci lavora in particolare Fabio Panetta, membro italiano del comitato esecutivo. Dunque, non si tratta di bloccare l’innovazione,  ma di farla maturare.

 

Nell’era dei pionieri, dettava le regole il primo arrivato, come Bill Gates e Steve Jobs. “Questa dinamica non è più sostenibile”, dice Brad Smith

 

Entrati nel terzo decennio del secolo digitale, i pionieri di un tempo sono già nel mezzo del loro cammino. Il motto degli esordi era “muoversi velocemente e rompere i vecchi equilibri”. Prevaleva il paradigma di Gordon Moore, co-fondatore di Intel, secondo il quale il potere di calcolo di un microprocessore sarebbe raddoppiato ogni due anni diventando la forza che guidava la rivoluzione digitale. Il socio Andrew Grove, nato a Budapest nel 1936 con il nome di András István Gróf, divenne famoso per il suo stile manageriale spiegato in un libro dal titolo provocatorio: “Solo i paranoici sopravviveranno”. Oggi il 5G potrà trasmettere i dati cento volte più velocemente e si prepara già il 6G, dunque la legge di Moore è ancora valida. Ma molte cose sono cambiate. Nell’era dei pionieri, il primo arrivato dettava le regole e agiva come voleva. Così fecero Bill Gates e Steve Jobs che non esitavano a farsi le scarpe a vicenda, così fece Larry Page con Google e Mark Zuckerberg con Facebook. “Questa dinamica non è più sostenibile”, lo dice niente meno che Brad Smith, presidente di Microsoft. Che cosa intende? “Il settore tecnologico nel suo insieme è chiamato a fare un passo avanti e a esercitare più responsabilità, mentre i governi a loro volta debbono mettersi al passo modernizzando le loro politiche”. Tom Wheeler, che è stato presidente della Commissione per le comunicazioni durante la presidenza Obama, in un’analisi per la Brookings scrive di “porre una mano visibile sulla rivoluzione digitale”. Mettere sotto controllo l’innovazione tecnologica non equivale a soffocarla in una rete kafkiana? In realtà, Wheeler non vuole più regole, ma soprattutto regole diverse. Quelle che valgono per i settori tradizionali che lavorano con beni materiali comunque limitati non possono funzionare là dove la materia prima è immateriale e illimitata come i dati. 

 

"La distruzione creatrice del capitalismo ha spinto i manager ad adottare agilità di gestione. Nessuna risposta simile da parte dei governi"

 

La vecchia rivoluzione industriale, comunque, ha una lezione da impartire anche alla nuova: “La distruzione creatrice del capitalismo ha spinto i manager delle imprese a cambiare adottando una grande agilità di gestione. Non c’è stata nessuna risposta simile da parte dei governi”, scrive Wheeler. Le cose potranno cambiare se si comprenderà la natura delle nuove tecnologie e se verranno introdotte regole adeguate. Né Behemoth né il Leviatano, né la giungla né la gabbia, una via diversa che andrebbe imboccata al più presto prima che sia l’intelligenza artificiale con i suoi algoritmi a occupare lo spazio lasciato vuoto. Ci saranno i sindacati dentro Amazon e Ryanair, il modello di business nella tv via streaming sarà diverso, i social media che abbiamo conosciuto lasceranno il posto a una nuova dimensione, sia essa il metaverso che dalla fantascienza diventa realtà o qualcosa che non conosciamo ancora. Senza mettere le brache al mondo, ma riaffermando la grande conquista della nuova rivoluzione: tenere al centro l’individuo che possiede le informazioni e le offre, così come la precedente società ha messo al centro chi consuma o chi usa un servizio. E’ questa, del resto, l’arma più efficace contro l’offensiva del nuovo totalitarismo. Vasto programma, ma abbiamo alternative?

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