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Il danno più grave che Trump ha fatto a Huawei è la perdita di fiducia

Eugenio Cau

Nella marea banalizzante dei social finisce per passare il messaggio più grossolano: gli smartphone della compagnia cinese sono problematici. Le conseguenze dello scontro commerciale

Milano. Ogni giorno porta una cattiva notizia per Huawei, l’azienda cinese di telecomunicazioni. La decisione del dipartimento del Commercio americano di impedire ai fornitori locali di fare affari con Huawei senza il consenso esplicito del governo ha provocato una concatenazione di annunci uno più terribile dell’altro. Quando, alla fine della settimana scorsa, è arrivata la decisione degli Stati Uniti, tutti si sono preoccupati inizialmente dei microchip americani dentro agli apparecchi di Huawei, valutando la possibilità che l’azienda cinese riuscisse a farseli da sé o a comprarli da altri paesi, ma nessuno aveva pensato al software. Così quando lunedì si è scoperto che Google avrebbe tolto le licenze del suo sistema operativo Android agli smartphone cinesi, per Huawei è stata una botta clamorosa. Nemmeno il tempo di prendere un respiro di sollievo (martedì Washington ha annunciato che le misure contro Huawei sarebbero state sospese per tre mesi) che subito, mercoledì, è arrivata un’altra botta: Arm, azienda britannico-giapponese che fa design di microchip, ha annunciato che non fornirà più la sua proprietà intellettuale a Huawei, e questo è un gran problema perché tutti i chip prodotti dall’azienda cinese sono basati su design di Arm. Poi è stato il turno di alcuni operatori telefonici britannici che hanno sospeso gli ordini di smartphone 5G di Huawei. Ieri, infine, la giapponese Panasonic si è unita al gruppo delle aziende che non procureranno più forniture a Huawei (almeno quelle che riguardano le limitazioni americane). E’ probabile che lo stillicidio continuerà, e gli esperti sono divisi su quanto male potrà fare a Huawei questa serrata americana. C’è anzitutto da capire se continuerà la disputa Washington-Pechino (ieri alcuni esperti hanno detto ad Axios che la guerra commerciale potrebbe continuare fino alle elezioni americane del 2020, perché Donald Trump si è accorto che questa prova di forza agli elettori non dispiace); poi c’è da capire quali soluzioni può trovare Huawei. Il sito Ars Technica ha preso uno Huawei P30 Pro, il miglior smartphone prodotto dalla casa cinese, e l’ha smontato per vedere da vicino i vari componenti e la loro provenienza. Risultato: Huawei, seppur tra enormi difficoltà, ha buone possibilità di sostituire tutto l’hardware americano con componenti coreane, giapponesi o locali, ma il vero problema è il software.

 

C’è anche un altro elemento della serrata americana che gli esperti di tecnologia non contano, e che forse sta facendo più male a Huawei di buona parte delle misure pratiche del governo americano: la perdita di fiducia. Ormai da una settimana i social network di mezzo mondo sono pieni di commenti del tipo: “Ho appena comprato un telefono Huawei e adesso sono disperato perché ho paura di perdere YouTube e le email”. Sono commenti infondati, perché gli apparecchi già in commercio non perderanno YouTube (forse però perderanno gli aggiornamenti), ma nella marea banalizzante dei social finisce per passare il messaggio più grossolano: gli smartphone Huawei sono problematici. Su Facebook e Instagram circolano da giorni meme sugli smartphone di Huawei resi inutilizzabili dalle politiche di Trump. Spesso sono campagne contro Trump e, ripetiamo, gli smartphone già in commercio resteranno utilizzabili, ma il messaggio che resta in chi vede il meme è: la prossima volta che devo cambiare lo smartphone, forse meglio evitare a Huawei. Su YouTube, i recensori di tecnologia consigliano chi aveva intenzione di comprare uno Huawei nuovo di aspettare. E gli esperti temono che i rapporti tra l’azienda e gli Stati Uniti si siano incrinati in maniera definitiva: se anche si troverà una soluzione a questa crisi non è detto che tra due anni il problema non si ripresenti.

 

Huawei negli ultimi anni ha destinato fondi inimmaginabili a campagne pubblicitarie in tutti i paesi d’occidente proprio per scrollarsi di dosso l’immagine di produttore cinese di apparecchi scadenti. C’era riuscita. Questo nuovo colpo d’immagine è più grave.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.